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ANCONA - Ore 11: le saracinesche si abbassano per un quarto d’ora, una voce elettronica diffonde la disperazione dei dannati degli shopping center, costretti a restare chiusi a oltranza nei weekend. I clienti vengono invitati a uscire, chi con un gelato in mano, chi con i capelli bagnati, chi con la merce appena acquistata. «Perdonateci, ma per noi questa protesta è importante», si scusano i titolari dei negozi del centro commerciale Conero, che all’unisono danno voce alla loro angoscia. «Sa qual è la cosa peggiore? Quando si parla di centri commerciali, la gente immagina grandi catene e potenze economiche, ma non sa che in realtà dietro ci sono nella maggior parte piccole società e partite Iva - dice Sonia Gerundini di Sonia Gioielli -. Per non parlare dei fornitori e dei dipendenti: qui tutti soffriamo. Il lockdown del fine settimana per noi significa una perdita del 40% del fatturato. Da 6 mesi andiamo avanti così: siamo rimasti nell’ombra, nessuno parla di noi. Con questo piccolo sciopero chiediamo di puntare i riflettori su di noi». Sì perché tutti, chi più, chi meno, stanno riaprendo dopo l’attenuazione dei contagi. Ma gli shopping center ancora no. Perché? «Non esiste alcun motivo plausibile - protesta Anja Bregallini, titolare dei negozi Tezenis, Calzedonia e Intimissimi -. Siamo rimasti solo noi, esclusi e dimenticati. Temono gli assembramenti nelle gallerie commerciali, ma allora nei megastore o nei supermercati non c’è lo stesso pericolo? Abbiamo tutto per lavorare in sicurezza: guardie giurate che controllano le distanze, sanificazioni, spazi arieggiati».
Antonella Basile, responsabile del salone Jadis, alle 11 in punto ha abbassato la serranda, a costo di chiedere ad una cliente di attendere all’esterno un quarto d’ora con i capelli bagnati. «Ha compreso la nostra posizione, chi comanda invece non ha ancora compreso quanto incide sulle nostre attività la chiusura nei fine settimana - dice la parrucchiera -.
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Corriere Adriatico