Balbuzie, quando le sinergie mediche "sciolgono" la lingua

Dalla balbuzie ai difetti di pronuncia: parlare, e cantare, in modo fluido e comprensibile non sempre è naturale, soprattutto per i bimbi Un team multidisciplinare aiuta ad arrivare a una diagnosi prima dei 4 anni

Balbuzie, quando le sinergie mediche "sciolgono" la lingua
di Maria Rita Montebelli
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Giovedì 8 Febbraio 2024, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 08:28

Il linguaggio è un aspetto fondamentale delle relazioni quotidiane ed è una competenza che sembra acquisirsi in modo “naturale” e “automatico”.

Ma non è sempre così. Il 5% dei bambini in età prescolare, pur presentando un normale sviluppo fisico e cognitivo, sviluppa un problema di linguaggio, il più conosciuto dei quali è il disturbo della fluenza o balbuzie. In Italia ne è affetto 1 milione di persone e 1 su 4 è un bambino. Il problema va affrontato con l’aiuto di un professionista, anzi di un team multidisciplinare del quale faccia parte, nel caso dei bambini, pediatra, neuropsichiatra infantile, psicologo, otorino e logopedista. «La balbuzie rientra nella categoria dei Disturbi Primari del Linguaggio (DPL) – spiega Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani (FLI, www.fli.it) – per i quali si raccomanda di arrivare ad una diagnosi entro il quarto anno di vita». A quest’età il bambino dovrebbe aver acquisito un adeguato inventario dei foni, cioè dei suoni che compongono le parole e formano un lessico per interagire con gli altri. Quelli con DPL invece, si esprimono con parole incomprensibili o comprensibili solo dai genitori. È importante dunque fare una visita specialistica nei servizi materno-infantili per definire il bisogno di intervento o riabilitativo.


VADEMECUM

Il disturbo della fluenza nei bambini di 2-3 anni può rappresentare una balbuzie fisiologica, che si risolve in poco tempo. A quest’età, c’è un’esplosione del vocabolario, una maggior ideazione da parte del bambino, che vuole dire tante cose in poco tempo. Ma se il problema persiste per più di 6-8 mesi è necessario consultare uno specialista che partirà da una buona anamnesi, perché la balbuzie ha una componente ereditaria e colpisce di più gli uomini. «L’intervento deve coinvolgere tutta la famiglia – spiega l’esperta – per recuperare tempi e modi di una comunicazione sana. Nelle conversazioni vanno rispettate alcune regole: parlare lentamente, dedicare al bambino il suo spazio, in un clima rilassato; rispettare i turni nella conversazione; non trasmettere ansia». È inutile invece far finta che il bambino non balbetti, anche perché il piccolo stesso ha la consapevolezza di parlare in modo diverso dai suoi compagni. E non bisogna permettere che il disturbo si trascini negli anni.
I bambini balbuzienti sono quelli più bullizzati della scuola primaria e al liceo.

Basti pensare all’enorme repertorio di gag e barzellette che riguarda i balbuzienti. Prima si interviene dunque, meglio è perché la balbuzie distrugge l’autostima e un’attitudine pessimista o la tendenza a svalorizzarsi non aiutano la cura. «Si comincia con obiettivi a breve termine – spiega l’esperta – per dimostrare alla persona che, nel setting terapeutico, riesce a svolgere compiti che riteneva impossibili; facciamo prendere loro consapevolezza della propria capacità di fluenza, anche attraverso esercizi senza voce, o sussurrando (perché anche ascoltare la propria balbuzie può bloccare). Poi, in una seconda fase trasferiamo questi risultati nella vita reale. Ad esempio, se una persona ha la fobia di rispondere al telefono, nel setting terapeutico si simula una telefonata tra il logopedista e l’assistito, per dare un decondizionamento, prima di traslare il tutto nella vita reale. A lungo termine le persone riescono a partecipare alle conversazioni, a rispondere alle interrogazioni, a usare anche una certa autoironia sul proprio disturbo, laddove dovesse di nuovo affiorare».


CONSAPEVOLEZZA

Altro capitolo è quello dei disturbi di pronuncia, come la cosiddetta “zeppola” (la S moscia o sifula), il rotacismo (R moscia) o la difficoltà a pronunciare il gruppo GL. «Si tratta in genere di caratteristiche personali – spiega la dottoressa Rossetto – e non di un disturbo vero e proprio. Partiamo però sempre da un inquadramento per capire se è un problema isolato o no. Poi agiamo sulla consapevolezza che la persona deve avere dell’esecuzione di un certo suono, del fatto che può acquisire significati diversi; questo la porta a prestare maggior attenzione e a migliorare l’articolazione di quel suono». Se per questioni professionali (dagli attori agli speaker radiofonici) fosse necessario acquisire una pronuncia perfetta, una volta esclusi problemi di altra natura, anche una buona scuola di dizione potrà aiutare a correggere i problemi di articolazione della parola. Ma a volte, un certo modo di parlare è così tipico di un personaggio che correggerlo equivale a cancellare la sua unicità: basti pensare alla S di Jovanotti. Senza, non sarebbe più lui.

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