Amputazioni, in Italia 15mila persone l'anno perdono un arto. Protesi hi-tech e il percorso per tornare a una vita normale

Patologie vascolari, traumi sul lavoro o gravi incidenti stradali all'origine della menomazione. Alberto Momoli, presidente Siot: «Tanti gli ostacoli psicologici e medici come la resistenza agli antibiotici»

Amputazioni, in Italia 15mila persone l'anno perdono un arto. Protesi hi-tech e il percorso per tornare a una vita normale
di Valentina Arcovio
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Giovedì 8 Febbraio 2024, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 08:27

Non è un trauma facile da accettare ed è ancora più difficile da superare.

Perdere una parte del proprio corpo, come una o entrambe le gambe significa dover reinventare la propria vita, a iniziare dalla propria immagine. È una brutta esperienza che ogni anno in Italia devono affrontare migliaia di persone. «Si stima che siano all’incirca 15mila le amputazioni dell’arto inferiore che vengono eseguite ogni anno nel nostro Paese - racconta Alberto Momoli, direttore dell’Unità operativa di Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale di Vicenza e presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (Siot) - Le tipologie di amputazione possono essere molto variabili come lo sono le cause. La maggior parte è di tipo patologico: nel 60-70% dei casi dipende da patologie vascolari, come vasculopatie periferiche e ostruzioni di arti inferiori legati al diabete. Tra il 20 e il 25% dei casi l’amputazione è di origine traumatica e la loro incidenza è più alta nelle regioni ad alta intensità industriale. Poi ci sono i traumi stradali, “traumi ad alta energia” che coinvolgono l’osso». Tra le cause anche alcuni tumori e patologie congenite.

L’ITER

 La perdita di uno o di entrambi gli arti comporta un lunghissimo e complicatissimo percorso di riabilitazione. «È un percorso delicato e psicologicamente impattante, ma che tuttavia può portare i pazienti a un discreto recupero della qualità della propria vita», sottolinea Momoli. C’è anche chi dal dramma è riuscito a raggiungere vette altissime. Come nel caso del pilota Alessandro Zanardi «Iron man». Ventitré anni fa un incidente a Lausitzring, in Germania, gli costò entrambe le gambe: passato all’handcycling ha vinto nel 2012 l’oro alle Paralimpiadi di Londra, l’oro e l’argento a quelle di Rio de Janeiro 2016.

Dopo un nuovo incidente grave, si sta gradualmente riprendendo. O come le campionesse mondiali di atletica Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto. «Il caso di Alex Zanardi è davvero un bel esempio di recupero, ma purtroppo non è sempre così», sottolinea Momoli. Il percorso che va dall’amputazione al ritorno a una vita «normale» è costellato di ostacoli. In primis, quello psicologico che si supera solo con l’accettazione della nuova condizione. Non meno complicato è convincere il cervello che quell’arto non c’è più. È la cosiddetta sindrome dell’arto fantasma, il paziente percepisce il dolore all’arto anche se non c’è più. In realtà, è già durante l’intervento chirurgico che i medici devono fare grande attenzione, pensando al futuro recupero del paziente. «Un team multispecialistico, che coinvolge tra gli altri chirurghi ortopedici, vascolari e plastici, devono lavorare affinché al paziente venga garantita, per quanto possibile, un buona base su cui poi poggiare poi una protesi», spiega Momoli. È un percorso lungo mirato al recupero della mobilità e dell’autonomia del paziente. Infatti, solo quando le condizioni cliniche del paziente e lo stato del moncone si rivelano ottimali, si può passare all’utilizzo di una protesi. Grazie al progresso tecnologico, oggi le protesi sono in grado di offrire un livello maggiore di comfort e di funzionalità rispetto al passato.

TECNOLOGIA

 Alcune protesi sono ancora sperimentali ma sono talmente avanzate da offrire una qualità della vita sempre più alta. Le prime protesi sono in genere semplici e leggere, facili da portare, ma comportano un’andatura un po’ goffa e richiedono l’utilizzo di deambulatori o stampelle. Col tempo, la protesi potrà essere sostituita da un’altra, magari un po’ più pesante, ma tecnologicamente più performante per una camminata più simile a quella naturale. Potranno anche manifestarsi desideri specifici, come quello di poter nuotare, ed esistono oggi protesi adatte a diversi tipi di attività sportive. Si stanno studiando anche tecnologie che consentono di «comandare» le protesi solo con il pensiero. E il pensiero corre ovviamente a Elon Musk e al suo Neuralink. «Dal punto di vista chirurgico ci sono principalmente due linee di evoluzione, una riguarda le tecniche di ricostruzione e l’altra di salvataggio dei tessuti del paziente in modo da rendere più agevole il futuro utilizzo di protesi», spiega Momoli. «Ma cosa più importante, su cui però si stanno facendo pochi progressi, è la prevenzione delle infezioni resistenti agli antibiotici. Purtroppo l’Italia è uno dei Paesi europei più colpiti da questa problematica e che, non di rado, può essere la causa stessa di amputazione».

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