L’arte Inuit donata a Fermo: 131 statuette che appartenevano alla famiglia dell’esploratore Zavatti

L’arte Inuit donata a Fermo: 131 statuette che appartenevano alla famiglia dell’esploratore Zavatti
L’arte Inuit donata a Fermo: ​131 statuette che appartenevano alla famiglia dell’esploratore Zavatti
di Chiara Morini
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Sabato 23 Dicembre 2023, 04:40 - Ultimo aggiornamento: 12:47

Unico in Italia e terzo al mondo a occuparsi di Artide, il Museo Polare Silvio Zavatti di Fermo ha acquisito nuove disponibilità. Già esposte dallo scorso anno, le 131 statuette di arte Inuit sono state donate, nei giorni scorsi dalla famiglia Zavatti al Comune di Fermo.

La collezione

Il museo polare, che prende il nome dall’esploratore Silvio Zavatti, in attività nel secolo scorso, è uno dei due musei scientifici che si trovano a Palazzo Paccaroni (l’altro è il museo di scienze naturali Tommaso Salvadori), lungo corso Cavour. Dedicato ai popoli artici e agli esploratori polari, una delle sezioni è proprio dedicata agli Inuit. I 131 manufatti sono nella sala Molinari, che prende il nome dalla signora che poco prima di morire li ha donati a Renato Zavatti, figlio di Silvio. «L’avevamo ospitata a Villa Vitali», ha ricordato il signor Renato Zavatti, presentando la donazione al Comune (e quindi ai musei). Qui sono esposte statuette che rappresentano, pur essendo realizzate secondo i canoni della loro arte contemporanea, un passato di spiritualità, che risale al periodo del credo animistico degli Inuit, un credo fedele agli spiriti e alla forza della natura. Esposti quindi ci sono una Signora del Mare, uno sciamano danzante, figura, quella dello sciamano, che per quelle popolazioni era vista come intermediario con il mondo soprannaturale. Ci sono una scena di caccia, piccole bambole semoventi, riproduzioni di orsi polari o uccelli marini sulle rocce. Nella sala dedicata all’arte Inuit, appesa alla parete, c’è una grande pelle di orso polare: sembra guardare le teche e contribuisce a creare il gelido clima polare.

L’accampamento

Non solo Inuit, di cui è esposto anche altro materiale, perché accedendo alle sale del museo polare, si è accolti da una grande ricostruzione di un accampamento artico: dalla tenda alle casse, dagli scarponi alle attrezzature da campo e non solo, non manca nulla di quello che serviva in una spedizione.

E proprio materiale legato ai viaggi è esposto nelle altre sale del museo, in particolare quello che l’esploratore che dà il nome al museo ha raccolto nei suoi 5 viaggi polari. Tra l’altro Zavatti rimase molto colpito dal popolo Inuit, che non aveva gerarchie sociali particolari: tutto era regolato dalla libertà di scelta che aveva come unico limite il rispetto degli altri componenti del gruppo.

Tra il materiale esposto, ancora c’è la sala dedicata allo sciamanesimo, dove spiccano esposti un tamburo e una maschera. Bussole e ulteriori oggetti di altri esploratori completano il materiale esposto che ha fatto la storia delle esplorazioni. Tanti piccoli attrezzi e anche l’alfabeto del popolo Inuit è presente a disposizione del museo. Sono esposte tracce delle popolazioni indigene delle regioni artiche, di Groenlandia, Canada, Alaska, Siberia, con le quali Zavatti entrò in contatto. Popolazioni che discendono da antichi abitanti dell’Asia centrale, dalla quale emigrarono circa 30mila anni fa, dirigendosi appunto nell’area artica e subartica. Nel raccogliere e testimoniare le popolazioni artiche e le esplorazioni, Silvio Zavatti ha scritto una grande pagina documentale. E il figlio Renato, intervenuto per i 30 anni del museo, che ricorrono nel 2023, ha spiegato che suo padre «si era innamorato dei poli leggendo Salgari e, imbarcato su un mercantile, vedendo un iceberg».

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