Il prezioso alloro, a Grottammare è Marchio d’Area grazie all’Associazione vivaisti

Francesco Balestra presidente dell'associazione vivaisti di Grottammare
Francesco Balestra presidente dell'associazione vivaisti di Grottammare
di Francesca Gironelli
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Sabato 20 Febbraio 2021, 06:20

ANCONA - Da piccole piantine fino a siepi verdi, alte e rigogliose: l’alloro è un dono della natura. La cucina è il suo regno, ma anche la cosmetica - esempio ne è il famoso sapone di Aleppo - e il mondo officinale. Come pianta ornamentale l’alloro rimane protagonista: a Grottammare nel Piceno, è stato riscoperto diventando anche Marchio d’Area.

 
L’alloro (Laurus nobilis) appartiene alla famiglia della Lauracee, pianta aromatica perenne del Mediterraneo. Si usano le bacche, per l’estrazione dell’olio, e le foglie. Queste ultime, impiegate in cucina, danno un tocco di carattere a ogni piatto: fresche, essiccate o in polvere, la loro forte aromaticità distingue ogni piatto. Immancabile per dare quel profumo particolare al brodo e nelle versioni ristrette come il court-bouillon, bisogna però avere accortezza e farne uso sapiente. L’alloro potrebbe predominare, guastando l’equilibrio dei piatti o, peggio ancora, conferire un sapore amaro che rovina lo sforzo culinario. Perfetta nelle cotture lunghe come stufati e brasati, la tradizione vuole questa pianta aromatica come ingrediente fondamentale per la cottura dei legumi, soprattutto ceci, delle castagne e in alcuni arrosti. Nel Piceno, come racconta Germano Vitelli, studioso e storico di Grottammare, gli usi antichi vogliono l’alloro abbinato a pesci e selvaggina, e i rametti della pianta spesso finiscono in distillati casalinghi. Il nome di un piatto povero della tradizione contadina marchigiana, i frascarelli, deriverebbe dalla frasca, ossia dal ramo d’alloro usato sia per girare la polenta che per tirare l’acqua a goccioloni sulla farina, per formare i “grumi” che caratterizzano questa pietanza. Nel secolo scorso, quando si pescava l’anguilla nel Piceno, si consumava nelle cene natalizie e di fine anno cotta alla griglia e insaporita con “il lauro”.

L’alloro di Grottammare ha ottenuto il Marchio d’Area distintivo di un territorio e del recupero di un’attività della tradizione, rendendola risorsa competitiva e opportunità di sviluppo sostenibile.

A capo di questa iniziativa di “economia pulita”, c’è l’Associazione vivaisti di Grottammare, nata pochi anni fa da giovani imprenditori. «Il Laurus nobilis - spiega Francesco Balestra, presidente dell’associazione - rappresenta la specie più coltivata nei vivai di Grottammare e del Piceno. Si pensi che, da solo, l’alloro prodotto nella zona che va dalla Valle del Tronto sino alla Valle dell’Aso, rappresenta più della metà di tutte le piante coltivate nel nostro territorio. Il clima mite, d’altronde, ci rende zona particolarmente vocata alla sua produzione.

L’Associazione vivaisti di Grottammare che rappresento si è da sempre adoperata per tutelare e valorizzare questa pianta. Nel 2018 abbiamo infatti avviato l’iter per la candidatura dell’Alloro di Grottammare alla certificazione europea e, in attesa dell’esito, abbiamo registrato sia il Marchio d’Area che il relativo Disciplinare di produzione. Un documento quest’ultimo, che racchiude tutto il sapere che ormai da anni viene tramandato di generazione in generazione. Si tratta - conclude Balestra - di un prodotto peculiare, commercializzato sia come pianta da siepi sia come pianta edibile. Una destinazione quest’ultima che nei mercati esteri gode di un trend in crescita. Un prodotto riconoscibile, che deve ancora essere riconosciuto».

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