Letizia Battaglia a Jesi con Zanotti:
«La fotografia mi ha davvero salvata»

Letizia Battaglia a Jesi con Zanotti: «La fotografia mi ha davvero salvata»
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Venerdì 22 Settembre 2017, 12:43
«Abbiamo un dovere nei confronti della bellezza, anche in politica. Occorre eliminare la vanità dalla propria vita, in particolare se si è fotografi». Parola di Letizia Battaglia, fotografa del bianco e nero con una vita divisa in due parti. Sarà a Jesi nel weekend, per un workshop organizzato da Davide Zannotti, dell’Hemingway Cafè, al Magazzino d’Arte.

Cosa è la fotografia per lei?
«La salvezza. La fotografia mi ha salvato da una vita complicata, dove io non avevo un ruolo. Ero una madre, una moglie inquieta. Con la fotografia ho ripreso me stessa, ma è stato tardi perché avevo quasi 38 anni. Ho 82 anni e la mia vita vale la pena, tantissimo, per questa seconda parte. La fotografia mi ha salvata dalla banalità di una vita borghese senza significato».

È stata giornalista, cosa amava fare?
«Mi piaceva conoscere le storie della gente, come lo è nella fotografia. Amavo conoscere i meccanismi con i quali avvengono le cose. Andavo nei campi degli zingari o incontravo prostitute, cercavo le persone per ascoltare le loro vite».

Ha qualche fotografia a colori?
«Pochissime. Però, ricordo che un giorno, che avevo per caso il colore nella macchinetta fotografica, scattai una foto. Ebbene, quella fotografia non l’ho mai esposta, ma un giorno dovrò farlo».

Perché?
«Ritrae un bambino ammazzato in una pozza di sangue, a Palermo. È un’immagine che con il bianco e nero “quasi la accetti”, ma con il colore l’immagine di questo bambino è terribile. Questa foto dovrò esporla prima o poi, perché i bambini non si devono toccare. Sono molto sensibile in merito a questa fotografia, anche perché è raro che io usi il colore ed è raro che in Italia ammazzino un bambino».



Dove punta il suo obiettivo?
«Io scatto molto, a volte anche male al fine di prendere appunti. Oggi, più di prima cerco sempre di fotografare qualcosa che mi riporti a me. E questo qualcosa oggi sono le bambine preadolescenti, di dieci anni. Quando le fotografo mi commuovo perché mi torno in mente alla loro età, quando la mia vita cambiò».

Siamo nell’epoca del click facile, cosa non va in questo sistema?
«Non va mai l’approccio superficiale con le cose, con gli esseri umani e quindi con la fotografia. Tutti ormai fanno le fotografie, ma sono superficiali perché non fanno parte di un progetto interiore e che colleghi al tuo essere. Il fotografo deve fotografare il mondo, ma lui ci deve essere dentro la fotografia! Personalmente voglio che il mondo mi venga incontro, lo voglio fare mio ed io mi impegno a dare tutta me stessa per questo: è un’alchimia, qualcosa di molto bello e difficile da raggiungere. Faccio mille scatti ma di questi, forse, solamente una fotografia potrebbe essere buona».

Cosa è il bello in fotografia?
«È ciò che è ricco anche interiormente. Non basta fotografare qualcosa di bello».

Cosa occorre per una buona fotografia?
«Disciplina, progetto, attenzione. Ma ciò non basta se non si ha talento».

Di cosa è grata?
«Di aver incontrato Pasolini. I Maestri servono per andare avanti».

Che macchina usa?
«Da cinque mesi ho ripreso la pellicola, una Pentax K1000. L’ha acquistata un mio amico in un mercatino dell’usato, a Roma. Venti anni fa usavo una macchina fotografica tale e quale. Comunque, l’importante è avere la voglia di curiosare e scoprire cose nuove».
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