Fano jazz by the sea: un'anteprima
da urlo con la tromba di Bosso

Fano jazz by the sea: un'anteprima da urlo con la tromba di Bosso
di Elisabetta Marsigli
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Venerdì 14 Luglio 2017, 14:50
GRADARA - Anteprima di Fano Jazz By The Sea 2017 al Teatro dell’Aria di Gradara, domani (ore 21,15) con State of The Art, uno special event di cui sarà protagonista il quartetto del trombettista Fabrizio Bosso, sul palco con il pianista Julian Oliver Mazzariello, il contrabbassista Jacopo Ferrazza e Nicola Angelucci alla batteria.

Prendere in mano una tromba a 5 anni: un destino segnato?
«Sono cresciuto in una famiglia di trombettisti: sicuramente il tutto è partito per imitazione e ci ho creduto quasi da subito, sentivo questa forte attrazione dal suono, fin da piccolo».

Qual è stato il primo momento in cui è stato rapito dal Jazz?
«In particolare non lo so, in casa si poteva ascoltare da Gino Paoli alla Vanoni, come Duke Ellington. Mi colpì Clifford Brown e poi, tra i contemporanei Wynton Marsalis e Miles Davis. Continuo ad ascolarli, ma non trovo un particolare momento in cui sono stato attratto dal jazz. Ricordo solo che a 5 anni è arrivata la prima tromba vera, dopo quelle di plastica…».

Il jazz le ha cambiato la vita?
«Cambiato la vita non lo so, ho iniziato a farlo così presto che non è che ho avuto “un’altra vita”, non ho termini di paragone. Mi ritengo privilegiato per avere talento e, soprattutto per poterlo coltivare, poi, in realtà, è un lavoro come un altro, anche se ogni volta che sali sul palco è sempre la musica a vincere e spero vada avanti così. Se mi dovesse capitare di non avere più voglia di farlo, allora sì che andrebbe dura…».

State of the Art: qual è lo stato del jazz attualmente?
«Secondo me è ottimo, in Italia in particolare. Siamo pieni di grandi talenti e anche di grandi progetti. Poi, ognuno segue la propria strada: io ho sempre bisogno di sentire le sonorità jazz, che non vuole dire suonare sempre o solo swing, anche un blues ti fa tornare alle radici di questa musica. E’ vero però che c’è un po’ di confusione, con festival che non c’entrano nulla col jazz, ma anche lì può andare bene se si uniscono e miscelano varie arti. Un altro conto sono le cose che vengono fatte passare per jazz, ma non lo sono».

Un buon momento?
«Sì, decisamente: un giovane che si approccia al jazz può avere la fortuna di vedere dal vivo molti musicisti che sono cresciuti anche grazie ai Conservatori. Certo è che per diventare bravi professori non basta il talento e bisogna sapersi relazionare con bravi musicisti. Impostare una carriera non è affatto semplice».

E sulla ricerca italiana?
«Per me è difficile parlare di queste cose, se si vuole suonare jazz non c’è nulla da scoprire, non perché sia tutto finito, ma perché se continuiamo a interpretarlo, ogni sera uscirà qualcosa di diverso. Cerco sempre di creare qualcosa di nuovo, sia su un brano mio o su un classico e già mi appaga. Poi sono scelte, c’è chi punta più sui propri progetti. Esistono musicisti formidabili che sperimentano, io scelgo ancora Miles Davis quando voglio ascoltare il jazz…».

Ci parli dei suoi compagni di viaggio in questa avventura…
«L’input del disco live è partito da Patrizio Romano, che ha percepito l’energia che usciva dai nostri live. Loro sono formidabili, li ho scelti per la loro creatività e per la grande preparazione tecnica, unite alla gran voglia di suonare. In 4 sul palco è divertente: do loro anche una grande responsabilità, li sfrutto al massimo e a volte mi verrebbe da smettere di suonare per ascoltarli…».

Quanto conta l’improvvisazione per un jazzista?
«È sempre una grande emozione ritrovarsi nell’improvvisazione, variazioni sul tema in totale libertà, anche se è sempre relativa la libertà perché legata ad una grande concentrazione: sembrano due concetti impossibili da fare convivere, ma il bello del jazz è proprio questo!».
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