Vallerosa Bonci, affari di famiglia
Il Verdicchio spopola in tutto il mondo

Vallerosa Bonci, affari di famiglia Il Verdicchio spopola in tutto il mondo
di Agnese Testadiferro
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Sabato 3 Giugno 2017, 14:57
CUPRAMONTANA - All’orizzonte il mare. Intorno la tipica dolcezza delle colline della terra definita Capitale del Verdicchio. A Cupramontana, prima dell’ingresso in paese provenendo da valle, la famiglia Bonci apre le porte dell’azienda agricola Vallerosa Bonci. Una storia che si tramanda da padre in figlio da inizio Novecento. Oggi, a far gli onori di casa sono Giuseppe e sua figlia Valentina. Sorriso velato ed espressione concentrata lui, travolgente e passionale lei.

Radici metafora di vita
«La cantina rappresenta casa mia, anche se da giovane non riuscivo ad apprezzare la ricchezza che il bisnonno Domenico, nonno Mario e babbo Giuseppe si tramandavano l’un l’altro. Ho superato i 40 - scherza Valentina Bonci, laureata in Psicologia a Cesena con alle spalle una carriera “dall’altra parte del lettino” troncata per scelta - ma solo 16 anni fa ho deciso di entrare in azienda in modo serio, e con la volontà di affiancare mio padre». È lei, Valentina, l’immediato futuro dell’azienda vocata al Verdicchio, azienda che con i propri collaboratori vanta una media di 35 anni. Il 1962 l’anno «della prima iscrizione di Vallerosa Bonci alla Camera di commercio da parte di nonno Mario» che scelse di unire il nome delle due contrade dove abitavano lui e il fratello Fernando, Valle e Santa Rosa. Passano gli anni e il 1986 il timone diventa di Giuseppe Bonci, considerato un’istituzione nel mondo del Verdicchio perché portò in cantina sperimentazione e fu tra i primi a puntare sulla spumantizzazione e su un cru aziendale, il San Michele. Zero dubbi sulle scelte che con il tempo si sono manifestate vincenti. «Il Verdicchio è l’unico vitigno adatto a questa terra. Se qui vuoi fare miracoli con vitigni internazionali, non ci riesci» afferma deciso Giuseppe. Ogni nome di etichetta è un omaggio a qualcosa di famiglia: le contrade; la via della prima cantina di famiglia; i nomi dei nipoti di Giuseppe, Michelangelo e Caterina a cui sono dedicati i nuovi millesimati. Tra i profumi che evocano storia in cantina c’è quello del caveau, avvolto da un affascinante alone di ricordi di infanzia e aneddoti legati alle prime bollicine degli anni ’70.



Filosofia in cantina
Il metodo è quello convenzionale, con raccolta manuale in cassetta. Unica eccezione per Doc Classico Superiore San Michele, Riserva Docg Classico Pietrone e Doc Passito Rojano: i grappoli vengono «rovesciati in pressa direttamente dalla cassetta, ad acini interi». Per tutte le etichette si utilizzano vasche in vetrocemento termoregolate, «ma per il passito e il Millesimato Brut Metodo Classico Michelangelo le barrique e per il Pietrone il tonneau». L’enologo, dal 1989, è Sergio Paolucci. «Appena arrivato in azienda si è deciso di tracciare una strada ben precisa per ogni vigneto, affinché l’identità di ognuno fosse più autorevole e valorizzata». Il primo passo è stato nei confronti del San Michele; vigneto situato nell’omonima contrada, a sud, che è la stessa della prima casa di famiglia. In totale l’azienda conta 22 ettari, con doppia esposizione. «Poco meno di mezzo ettaro è dedicato alla bacca rossa per una produzione limitata di Rosso Piceno, il resto solo Verdicchio. I vigneti a sud hanno maturazioni più autorevoli con vini con grandezza aromatica e pienezza di bocca maggiore. A nord i vigneti sono posizionati tra 450 e 250 metri e sono adibiti alla produzione di basi spumante e del Pietrone». Il mercato è al 60% italiano, e al 40% è estero con Giappone, Belgio e Stati Uniti sul podio. «Il valore aggiunto aziendale è la capacità di guardare dentro la propria ricchezza facendosi sempre ambasciatrice del terroir, verso il quale nutre un profondo attaccamento» sottolinea Paolucci. «Da quando mio padre fece la saggia scelta di impiantare, come bacca bianca, solo uva Verdicchio, il numero delle bottiglie scese radicalmente, da 3 milioni a 200 mila. Ma questo è un dato per noi marginale, perché la qualità del prodotto non si può misurare in termini strettamente quantitativi», precisa Valentina.

I sogni nel cassetto
«Siamo figli della nostra storia e va estrapolato tutto il bello che nel passato c’è stato. Il mio sogno è quello di produrre una grande riserva e presentarla al mercato in un’anfora - si confessa Valentina Bonci - L’anfora è comunque stata, volente o nolente, il simbolo nel mondo del Verdicchio». Tra i desideri, quello di impiantare nuovi vitigni «dato che quelli attuali sono datati dal 1972 al 1991». Il cambiamento è sempre stato tra i capisaldi della famiglia Bonci, come quando «nella prima metà degli anni ’70 puntai sulle bollicine, una sperimentazione che - sorride al pensiero Giuseppe Bonci - il primo anno mi fece salvare solo 50 bottiglie su 2000!». Tra le massime di casa Bonci c’è quella di Giuseppe, «avere consumatori preparati e tante cantine intorno… fa solo bene, perché ti spinge a dare sempre il tuo meglio».



La bottiglia
Un Brut Millesimato dall’etichetta d’oro
La tradizione spumantistica di Vallerosa Bonci la si deve a Giuseppe Bonci. Questo Brut, dall’etichetta oro, è ottenuto dalla fermentazione naturale in bottiglia di Verdicchio dei Castelli di Jesi. Le uve, selezionate, provengono dai vigneti della contrada Pietrone. Tre sono gli anni di permanenza sulle fecce e una la fase di remuage. Perlage a grana minuta, serrata e persistente. Al naso aspetto varietale molto pronunciato, con sentori di erbe aromatiche e una sfumatura di anice. Compagno ideale per tutto il pasto.
Info Ettari vitati: 2; Gradazione: 12% vol; Temperatura di servizio: 8°C; Prezzo in enoteca: 22 euro
Riferimenti: Azienda Agricola Vallerosa Bonci, via Torre, 15-17 Cupramontana Tel. 0731789129
www.vallerosa-bonci.com info@vallerosa-bonci.com
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