Marina Magistrelli: "In questo Pd non mi
ritrovo. Meglio tornare a fare l'avvocato"

Marina Magistrelli: "In questo Pd non mi ritrovo. Meglio tornare a fare l'avvocato"
di Lucilla Niccolini
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 10 Maggio 2017, 19:11
Questa determinazione pragmatica e idealista, stampata nel suo sguardo chiarissimo, Marina Magistrelli l’aveva già fin da studentessa, e le meritò ad Ancona il ruolo di responsabile dei giovani di Azione Cattolica. Avanti sempre, come un panzer, anche quando, appena laureata, insegnava religione al Rinaldini. «È stato per poco, ho accettato di farlo in continuità con l’associazionismo cattolico, un modo per tenere i contatti con i giovani, per i quali avevamo fondato il Centro di Adolescentologia». Un consultorio per i genitori e i loro figli, un esperimento, negli anni Ottanta. «Medici, psicologi e psichiatri, tutti consulenti che svolgevano azione di volontariato, gratuitamente».
Ricorda con passione le sue vicende, nel suo studio al Viale, nella penombra di una mattinata calma. Due sole telefonate - «posso richiamarti più tardi?» - e un’atmosfera distesa. Insolita per lei. Merito della rinuncia a ricandidarsi per il Senato? «Il servizio istituzionale è così importante – ho scritto nella mia lettera ai cittadini – che deve essere per definizione a termine».

Ma come era cominciata
Torniamo indietro: com’era cominciata. Tessera di partito? «Mai avuta. Ricordo che dopo la laurea alla Sapienza di Roma - tesi in Diritto Penale – facevo praticantato nello studio Scaloni. Un’esperienza felicissima. Ero in tribunale, e mi chiamò da Roma Gianclaudio Bressa: mi chiedeva di prendere in mano il Comitato Prodi per le Marche. No, dissi subito: è un carro su cui sono salite troppe persone con una visione politica diversa dalla mia. “Per questo vogliamo proprio te”, dissero quando mi chiamarono una seconda volta. Rosy Bindi, che conoscevo dai tempi del mio attivismo nell’Azione Cattolica, insisteva. Alla fine accettai». Nuova convocazione per le successive politiche, stavolta come responsabile nazionale: naturale conseguenza, la sua candidatura.

Una presenza da stakanovista
Senatrice per due legislature e mezza, con una presenza attiva in aula da stakanovista: 93%, un record. Poi, l’addio. Perché? «Era saltato il bipolarismo. Il Partito democratico aveva cambiato passo. Avrei fatto all’Italia un servizio migliore da avvocato. Un giro di boa». Delusione? Sospira impercettibilmente. «Spero che si possa recuperare, per questo appoggio Orlando, anche se vengo da una cultura diversa: è colui che sembra voler ridare continuità all’idea di Prodi e Veltroni. Cerca di tenere unito il Centro sinistra, in contrapposizione al partito della Nazione centrista, renziano».
Un’esperienza esaltante e conclusa. «Della classe parlamentare viene sempre messo in risalto il lato ridicolo, ma io ho conosciuto persone eccezionali, come il procuratore D’Ambrosio e Rita Levi Montalcini, pochi imboscati. Di deludente c’è che il parlamento rischia di girare, così com’è adesso, a vuoto, come una vite spannata. Molte parole, pochi fatti. A me piace l’efficienza, assieme alla velocità: quello che approvo di Renzi. Poi, però, va avanti da solo e non lavora in squadra. E non si può più fare».

Il voto “sì” obtorto collo
Al referendum ha votato sì «ma obtorto collo, solo perché bisognava andare avanti, anche se la riforma del Senato non mi piaceva del tutto. Le riforme bisogna farle, anche storte, zoppe. Poi correggi dopo, altrimenti la macchina si ferma». Fondatrice del Pd, approdo naturale dell’Ulivo, un partito con i partiti, sintesi delle diversità, Marina sa cosa significa mediare. Ma tra cattolici e comunisti, che possibilità può esserci di mediazione?«Hanno in comune la dimensione sociale, alla base del Pd ci sono valori comuni al cattolicesimo, e non c’è all’interno un’unica cultura. Questo l’ha reso possibile». E forse ne decreterà il fallimento, azzardiamo. Allora s’inalbera, e fa vibrare l’aria nella stanza: «Ma perché Bersani e Renzi hanno fatto gli stessi errori: sono due facce della stessa medaglia. Si sono messi la giacca del loro antico partito, quando avrebbero dovuto fare sintesi, mediare, su ogni argomento. La sintesi è il valore, se vuoi avere il 40% dei consensi. Ma quando ognuno si rimette la sua casacca, tornano fuori anche gli estremismi, che erano sopiti, perché si ridà valore ideologico alla politica, che non esiste più in un mondo così complesso».

Ma qual è l’errore?
L’errore, secondo Marina, è stato non aver interpretato la cultura vera del Pd, che bandiva l’ideologia e valorizzava il pluralismo. «Altrimenti annulli il potere dell’elettorato. E io cosa ci sto a fare? Mi sono chiesta. Devo diventare democristiana, io che non lo sono mai stata? Torno a fare l’avvocato a tempo pieno». Una vocazione. «Già da adolescente, nell’Azione Cattolica, avevo bisogno di capire come ci si dovesse muovere in certe situazioni e quali fossero i criteri adottare. Una scelta naturale, per me, come quando ho deciso di far politica». Un coinvolgimento totale, la passione della sua vita. «Senza orari. Entro in ogni caso, anche sul piano umano, ma non me ne lascio dominare. La soluzione diventa il mio problema, ma se vedo accanimento nel mio assistito, rancore e voglia di vendetta, che non appartengono al criterio della giustizia, mi tiro indietro». Avvocato penalista. E matrimonialista, senza essere sposata, possibile? «Forse per questo non mi sono mai sposata. La mia famiglia, ora che mamma è mancata, due mesi fa, sono i fratelli, i miei tre nipoti, due dei quali lavorano in studio con me, e il figlio della nipote, Manuele, cinque anni e mezzo. La gioia della casa. E tanti amici». Un carattere forte, il suo «ma disponibile a capire le ragioni degli altri. E onesto: nelle cose che faccio, ci devo credere. Il mio approccio è sempre il dubbio, che stimola e rende più interessante l’approfondimento. Più dubbi hai, più scavi». Dubbi anche su Dio? «Certo che no! Né nella Chiesa». Papa Francesco? «Il massimo che potessimo meritarci».

La più grande delusione
La più grande delusione professionale: la condanna in primo grado dell’infermiera accusata di essere un’incendiaria. «Non parlai per qualche ora. Poi, la feci assolvere in appello: ero sicura che non fosse stata lei». Il prossimo obiettivo? «Fare bene l’avvocato. E vincere: che in Appello vengano confermate l’assoluzione di Nica Cornel, chiaramente estraneo ai fatti, e la condanna del padre della ragazza albanese violentata dal padre dall’età di nove anni». A fare il sindaco di Ancona ci ha fatto un pensierino? «Neanche per sogno!». Ma cosa farebbe Marina se lo diventasse? «Sposterei nell’entroterra a nord tutta la viabilità litoranea, per lasciare spazio a un lungomare bellissimo. Se no, come fa Ancona a diventare località turistica?». Per Marina Magistrelli, la passione per la professione è la sua vita. «Anche se può sembrare banale, non rinuncerei mai alla mia libertà, dalle cose e dalle persone».
© RIPRODUZIONE RISERVATA