La poetessa urbinate Battiferri e quei
madrigali che stregarono il Rinascimento

Laura Battiferri nel celebre ritratto del Bronzino
Laura Battiferri nel celebre ritratto del Bronzino
di Alessandra Cicalini
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Domenica 28 Maggio 2017, 13:41 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 19:10
Petrarchesca, ma molto più ispirata di tanti suoi contemporanei: il giudizio dei critici sulla poetessa Laura Battiferri, nata a Urbino il 30 novembre del 1523, è piuttosto unanime. Venuta al mondo circa due secoli dopo il sommo cantore della donna che portava il suo stesso nome, sembra quasi che sia stata proprio quest’omonimia, più ancora dell’ottima educazione ricevuta, a segnarne il felice destino. Perché Laura è in verità figlia naturale di Giovanni Antonio Battiferri e di Maddalena Coccapani di Carpi. La piccola ottiene però dal padre il riconoscimento ufficiale con i relativi vantaggi. Compie quindi studi umanistici e sposa a 25 anni il bolognese Vittorio Sereni. 

Il cordoglio e i sonetti
A lui la poetessa dedica nove sonetti di cordoglio per la prematura scomparsa: «Pianga dunque ogni cor gentil la morte di Vittorio - scrive - , che ben fu sì chiamato, dalla cui chiara vista ogn’un vint’era, e rallegrasi il ciel dov’è volato, lasciando il mondo in così flebil sorte, privato della sua virtude altiera». La perdita del marito non le impedisce, per fortuna, di rifarsi una vita. Poco tempo dopo incontra Bartolomeo Ammannati, architetto e scultore fiorentino di dodici anni più vecchio. Lo sposalizio è celebrato alla Santa Casa di Loreto il 17 aprile 1550, dopodiché i due coniugi vanno ad abitare a Roma, dove Bartolomeo già lavorava, riuscendo in breve ad accaparrarsi i favori di Papa Giulio III, noto per il suo generoso mecenatismo. Della città eterna, dove resta cinque anni, la Battiferri è proprio innamorata, tanto da dedicarle alcuni dei suoi versi più belli: «E tu, vago, corrente e chiaro fiume, che fai più adorna Roma, così tua verde chioma del sol non secchi il troppo ardente lume. Fate che mai non sia quel crudo giorno ch’io lasci il vostro dolce almo soggiorno», verga la poetessa. 

La preghiera non esaudita
La sua preghiera, purtroppo, non viene esaudita: alla morte di Giulio III, avvenuta il 23 marzo 1555, Bartolomeo è costretto a ricominciare daccapo con altri committenti, ma soprattutto a ritornare a Firenze, dove l’amico Giorgio Vasari lo mette in contatto con Cosimo I de’ Medici. Lo shock del rientro in provincia è forse maggiore per la poetessa urbinate, ma a poco a poco Laura si inserisce e la villa dei coniugi che si trova a Maiano, un paesino a pochi chilometri dal capoluogo toscano, diventa un luogo di incontro per i molti amici letterati della signora Ammannati. Tra loro si ricordano Benedetto Varchi (critico letterario che l’aiuta a pubblicare il “Primo libro” di versi, dedicato a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo de’ Medici), Bernardo Tasso (il padre di Torquato, che nell’opera Amadigi la chiama “Honor d’Urbino”), il civitanovese Annibal Caro e, tra molti altri, Agnolo Bronzino. 

Il celebre ritratto
Proprio quest’ultimo è l’autore del celebre ritratto della Battiferri, visibile a Palazzo Vecchio. Alla poetessa il pittore manierista è legato da un’intensa quanto platonica amicizia, testimoniata anche da un fitto scambio di poesie. Sull’olio realizzato su tela dal formato 83x60, spicca il naso adunco della poetessa, “”rubato”” a Dante Alighieri, che Bronzino associa alla Battiferri anche per la comune maestria con i versi. L’importanza di questi ultimi è sottolineata poi nel libro di componimenti petrarcheschi stretto tra due delle sue lunghe dita affusolate. Colpisce anche la distanza dello sguardo, fisso verso un punto lontano, e il pallore austero e solenne del volto, che parlano di un distacco dalla mortali passioni a favore di una più sentita vicinanza a Dio. Profonda è del resto la religiosità di Laura, che la conduce a dedicare a Vittoria Farnese della Rovere, signora di Gradara, i suoi Sette salmi penitenziali pubblicati nel 1564. In quegli anni si è avvicinata ai Gesuiti, cui appartiene la chiesa di San Giovannino a Firenze, dove Laura viene sepolta nel 1589. Tre anni dopo la raggiunge il marito, in un’unione solida che vince la morte pur in assenza di figli. «Arbor sterile» si definisce a un certo punto proprio la Battiferri, chiamata scherzosamente “La sgraziata” dall’ordine degli Intronati di Siena, che ne aveva, al contrario, riconosciuto le grandi doti creative di mente e cuore.
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