Brava e antidiva: le mille Italie recitate
da Ave Ninchi prima e dopo la guerra

Brava e antidiva: le mille Italie recitate da Ave Ninchi prima e dopo la guerra
di Giovanni Guidi Buffarini
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Domenica 21 Maggio 2017, 14:13 - Ultimo aggiornamento: 14:14
La seguente chicca, se non la conoscete, la trovate facile su YouTube. Dura cinque minuti. Cinque minuti tutti da godere. E quando è finita, la fai ripartire. È una delle scene più irresistibili di “Totò e le donne”, film del 1952 firmato Steno e Monicelli (in realtà fu solo il primo a dirigerlo, Monicelli essendo sgattaiolato su un altro set). Dunque. Totò e signora a casa. Lui in vestaglia, lei inviperita. Decisa ad andarsene, mentre fa i bagagli gli rinfaccia di tutto. Il basso stipendio, soprattutto. Urlando senza posa. Spara parole come una mitragliatrice proiettili. Sempre su toni acutissimi. Lui risponde colpo su colpo. Fino alla rivelazione che lo fa vacillare. 

Quel cibo per 20 anni
«Per vent’anni ti ho fatto mangiare carne di cavallo, non di vitello! E nel vino ti ci ho sempre messo l’acqua!». La corpulenta eppure agile signora che come vento impetuoso percorre le stanze è Ave Ninchi, per mezzo secolo e oltre presenza amatissima sul grande schermo, sul piccolo, e sulle tavole del palcoscenico. Ave Maria Ninchi, questo il nome completo, la madre essendosi raccomandata alla Madonna per scongiurare possibile aborto spontaneo. Nacque ad Ancona nel 1914. La famiglia (benestante) allora abitava vicino al porto, quartiere popolare. Lei fu sempre fiera di definirsi “portolotta”. Trasferimenti (il primo a Trieste, città in cui infine si stabilirà), rovesci di fortuna (a seguito della crisi del ‘29): ritroviamo Ave quindicenne a Pesaro, impiegata all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. «Una noia mortale», ricordava. Non durò troppo a lungo, per fortuna. Grazie a una borsa di studio, riuscì ad accedere alla Accademia di Arte Drammatica a Roma. La recitazione: un destino condiviso con i cugini Annibale e Carlo. Riporta l’enciclopedia Treccani: «Nel 1939, durante una tournée nell’America del Sud, incontrò l’amministratore della compagnia Antonio Gianello, al quale - sebbene già sposato - si unì sentimentalmente per i successivi quarant’anni». 

L’inizio del cinema
Ebbero una figlia, Marina. Il cinema si accorse di Ave Ninchi nel 1944. Il film si intitola “Circo equestre Za-Bum”, regia di Mario Mattoli, tratto da una rivista di successo di cui ripropone gli sketch. Di pellicole ne seguirono un centinaio (fonte: Internet Movie Database), non contando i film per la tv. Per la più parte risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta. Alcune dimenticabili, altre meritevoli d’esser riproposte: com’è di ogni filmografia d’attore. Ave Ninchi vi ricopre quasi sempre parti da caratterista, spalla ideale - per la gestualità, la mimica facciale, la verve inesauribile - di tanti nomi leggendari. Oltre a Totò recirarono con lei: Anna Magnani, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, Walter Chiari, Nino Taranto, Eduardo e Peppino De Filippo, Sophia Loren, Franca Valeri. Aldo Fabrizi soprattutto, con cui divise molti set, molti spettacoli. 

La bilancia non è un’opinione
Due pesi massimi (la bilancia non è un’opinione) perfettamente affiatati. Passava con disinvoltura dal registro brillante (impeccabili i suoi tempi comici) al drammatico, dalle produzioni più raffazzonate (però magari con Franco e Ciccio) al cinema d’autore. Fu splendida in “Domenica d’agosto” di Luciano Emmer, Louis Malle la chiamò più volte. “Vivere in pace” di Luigi Zampa il film cui si dichiarava più legata: nel 1947 le fruttò il Nastro d’argento come migliore attrice non protagonista. A teatro fece Pirandello (“Questa sera si recita a soggetto”), Strindberg (“La signorina Giulia”), Bernanos (“I dialoghi delle Carmelitane”). 

Quel grande rimpianto
Confessava un rimpianto: non essere diventata una ballerina classica, le sarebbe piaciuto cimentarsi in “Giselle”. Nella danza si sfogava quando affrontava il repertorio leggero, il teatro di rivista. Malgrado la mole si muoveva con una grazia tutta sua. In televisione fu impegnata in sceneggiati oggi mitici, nei varietà, in un programma culinario condotto con l’amico Luigi Veronelli. Chi scrive la vide per la prima volta, bambino, nel piccolo schermo. Nello spot pubblicitario di un pollo. «Dove c’è Stopollo c’è gioia», scandiva sfoderando il sorriso bonario. Di Stopollo non so dire. Ave Ninchi, lei sì, portava (e porta) gioia. La gioia che si prova nell’ammirare una seria professionista, un’artista di talento.
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