Samantha, dopo il trapianto di polmoni
la pallavolista scala il Kilimangiaro

Samantha Ciurluini
Samantha Ciurluini
di Valentina Berdozzi
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Domenica 6 Agosto 2017, 13:40
FERMO - A volte, si può cambiare tanto dentro pur rimanendo sempre sé stessi. Si può toccare il fondo con un dito, spiazzata da una malattia rara arrivata quando meno la si aspetta e meno serve e nonostante tutto rinascere, senza più il fiato spezzato, nelle vesti della grintosa e combattiva donna di sempre - ancora più determinata, ancora più agguerrita. Ci si può guardare allo specchio dopo aver subito un trapianto di polmoni, sistemarsi le ginocchiere e scendere in campo con la tenacia inalterata. Ricordando di essere una pallavolista che la sua partita più dura l’ha vinta contro l’ipertensione polmonare, le labbra viola, il fiatone, lo sconforto di veder sfumare il sogno sportivo di una vita.

La malattia
Per Samantha Ciurluini, pallavolista di Capodarco tutta grinta e sogni, lo sport è una medicina e l’ipertensione polmonare - diagnosticata a 27 anni nel cuore di un campionato carico di emozioni e davanti a un futuro da giocatrice libera di cartellini - un nemico, un ombra che per quasi dieci anni l’ha fiaccata e tenuta fuori dal campo, espandendosi fin dentro le radici dei polmoni e, da lì, a tutta la sua vita. Ma la partita - ammettono oggi orgogliosamente i suoi occhi - l’ha vinta lei. «Sono tanto cambiata dentro per quanto sono rimasta sempre identica a me stessa fuori: nell’affrontare la vita con tenacia, nel non arrendermi mai, nel giocare a pallavolo nonostante la malattia, nel voler fare sempre tutto con passione e non lasciare mai niente indietro. D’altronde i polmoni non sono quelli che ho dalla nascita, ma la grinta si!». 

Ha pensato Madre natura, forse, a corazzare a dovere questa atleta dal fisico slanciato e asciutto. L’ha equipaggiata con il coraggio di lottare fino all’ultimo contro la malattia e di trattarla come un avversario - temibile, certo, ostico addirittura, ma affrontabile. «È stato un fulmine a ciel sereno - racconta Samantha -. La diagnosi è arrivata nell’estate del 2005, quando mai e poi mai avrei pensato che una sportiva come me potesse soffrire di questa patologia. Dalla primavera avevo notato un peggioramento nell’attività dei miei polmoni: avevo sempre il fiato corto e mi affaticavo anche solo a fare le scale che portavano a casa mia, al primo piano. Le stesse che prima percorrevo di corsa a due a due senza alcun problema. È stata però una mia collega pallavolista, con cui quell’estate avrei giocato un torneo di beach volley, a consigliarmi di farmi vedere da un dottore: era di mercoledì e mi impose di farmi visitare prima della partita d’esordio, il sabato. Seguii il suo consiglio e arrivò subito la diagnosi: ipertensione polmonare».

La partita più dura
La partita di Samantha inizia così: con quella scoperta, con le analisi che rilevano le arterie ostruite da un microembolo in posizione non operabile e quell’imperativo che non lascia spazio ad alcuna trattativa: lasciare la pallavolo. «È stato quello il lato più amaro da mandar giù, una volta incontrata l’equipe di medici di Bologna cui mi ero affidata e che ha confermato il quadro clinico: lo stop forzato, l’addio allo sport - ricorda oggi l’atleta -. Ma mi ero ripromessa che sarebbe stata una situazione passeggera. Mi dicevo: smetto per un anno, mi alleno solo in palestra e poi ricomincio. E anche se dovessi tornare a giocare in una categoria inferiore, andrà bene lo stesso!». Come una promessa a sé stessa, come un time out preso tra un match e l’altro.

Il rientro
Il gong del rientro suona un anno dopo, nel 2008. Samantha torna a giocare ma un incidente al ginocchio la costringe di nuovo a bordo campo: «Purtroppo la parentesi idillica è durata davvero poco. Le analisi ripetute dopo il problema alla rotula hanno mostrato il progresso della malattia e la sua inarrestabile corsa. Avevo raggiunto il livello 3 di rischio, su una scala che va dall’uno al quattro: lasciare la pallavolo era il minimo. Il massimo, invece, era il trapianto di polmoni. Sono inorridita appena l’equipe bolognese me l’ha proposto: pensavo fosse una punizione, un modo per farmi pagare la mia sconfinata voglia di giocare. A fatica mi hanno convinta a dir di sì e a mettermi in lista». Dopo più un anno di attesa, «sono volata in Austria e mi sono iscritta alla lista di un centro specializzato: dopo tre mesi e mezzo mi hanno chiamata e, a maggio 2011, sono tornata a Capodarco con dei polmoni nuovi. E finalmente sani. È grazie a loro che, due mesi fa, ho potuto superare i duemila metri di altitudine e scalare il Kilimangiaro assieme ad altri trapiantati di polmoni, tutti pazienti della clinica austriaca cui mi sono affidata. Evidentemente, la mia donatrice era un’ottima alpinista», scherza. Dalla vetta che ha raggiunto, Samantha splende come le medaglie preziose che ha vinto partecipando, a fine giugno, ai Mondiali per trapiantati a Malaga. Quel luccichio, ora, è il suo. Ed è il chiarore di chi ha capito che le salite prima o poi finiscono - durante una scalata così come nella vita.
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