Il grande cuoco Roberto Dormicchi: «In ginocchio sui ceci, poi li ho usati da chef»

Roberto Dormicchi è uno chef non comune: la sua arte ha origine dai sapori del nostro territorio, genuini e semplici, che ama trasmettere ai suoi studenti, ma non solo. Le radici della sua passione affondano nella sua infanzia: «Sono nato a Cagli,...
Roberto Dormicchi è uno chef non comune: la sua arte ha origine dai sapori del nostro territorio, genuini e semplici, che ama trasmettere ai suoi studenti, ma non solo. Le radici della sua passione affondano nella sua infanzia: «Sono nato a Cagli,...
di Elisabetta Marsigli
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Domenica 31 Marzo 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 2 Aprile, 09:02

Roberto Dormicchi è uno chef non comune: la sua arte ha origine dai sapori del nostro territorio, genuini e semplici, che ama trasmettere ai suoi studenti, ma non solo. Le radici della sua passione affondano nella sua infanzia: «Sono nato a Cagli, ma siamo tornati quasi subito a vivere a Piobbico con i nonni. Si viveva tutti insieme, in un appartamento di fronte all’hotel ristorante Trota blu, e forse la passione per la cucina è nata anche da quello: ho ancora in mente le persone che uscivano felici da quel ristorante, dopo aver festeggiato comunioni, cresime o matrimoni. Oggi non esiste più, ma quell’insegna mi è rimasta impressa, come i pini che circondavano l’hotel, dalle cui pigne mi divertivo a estrarre i pinoli, sporcandomi tutte le mani».

Il nonno fumava la pipa «un odore che riconoscerei tra mille, visto che soffrivo d’asma e lo pativo assai.

Del nonno ricordo le colazioni: io andavo matto per il pane abbrustolito nella stufa a legna e messo nel latte con il miele, molto diverso dalle colazioni di oggi, lui invece metteva sulla brace un uovo per mezz’ora e poi con uno spillo lo bucava e lo beveva. Allora mi sembrava una cosa orribile e invece oggi l’ho rielaborato come un uovo a bassa temperatura servito col tartufo».

Dispettoso

Dispettoso era con la nonna: «La mamma di mia madre era su una carrozzina e quante gliene ho fatte vedere (ride), ma era anche un modo per tenerle compagnia». La sua cameretta era condivisa con il fratello Gianluca, più grande di tre anni: «Una condivisione non sempre perfetta… grazie a lui ho imparato ad usare i coltelli. Essendo più grande, ogni volta che mi vedeva mi dava un cazzotto sulla spalla: un giorno non ci ho visto più e gli ho tirato un coltello che si è infilzato nella porta, si è chiuso in bagno finché non è tornata la mamma, ma ha smesso di darmi i cazzotti». Roberto ricorda le sue due maestre con molta stima: «Ho ricordi bellissimi e incredibili delle elementari, con delle maestre che ancora oggi rappresentano e hanno rappresentato il paese: Maria Mochi, la mamma di Giorgio che per anni è stato sindaco di Piobbico, e l’Anna che io chiamavo l’Anna Lele perché era la moglie di Telesforo il presidente e l’ideatore del club dei Brutti. Anche per le elementari ho un ricordo… culinario, i ceci, quelli che venivano utilizzati per le punizioni dietro la lavagna e devo dire che in ginocchio sui ceci ci finivo abbastanza spesso». E comunque non amava particolarmente la scuola: «Dniciamo che non ero un appassionato, studiavo quello che era necessario per andare avanti. Da lì anche la decisione di fare poi l’Alberghiero, presa dai miei genitori. Ma vorrei sottolineare che è una scuola importante e non il rifugio per chi non ha voglia di studiare, anzi. Per me poi è stato un momento importantissimo perché è stata anche la mia occasione di uscire dal paese. Non tutti accettavano di dover andare a studiare a Fano o a Pesaro, oltre al fatto che c’erano anche le stagioni negli hotel da fare. Quindi per me è stato importante partire a 14 anni per andare a Gabicce: ho dovuto prendere il treno per la prima volta, non sapendo dove era la stazione, ma nemmeno aver visto mai un treno! Così i miei mi hanno caricato sulla corriera Bucci e spedito a Gabicce». E lì uno dei primi incontri importanti per Roberto: «ho conosciuto Filippo Vicini, di San Giovanni in Marignano, un classico romagnolo Doc. Mi venne a prendere alla stazione con i capelli fino ai piedi ed ero un po’ preoccupato. Invece mi portò dritto all’Albergo Admiral, un due stelle. Ho fatto tutta la stagione e sono tornato molto cresciuto, non solo sul lavoro, ma anche come persona». Cuoco anche sotto il militare: «il soldato più punito della storia», prosegue Roberto divertito. «Il mio capitano mi metteva in punizione sempre il sabato e la domenica, forse per ricordarmi che i cuochi lavorano in questi giorni. In realtà ero il cuoco del comandante e quindi ero molto coccolato da lui che mi dava permessi senza problemi e lì ho imparato la gerarchia. Feci anche 17 giorni di guardia all’aeroporto di Falconara senza mai staccare, a novembre».

La svolta

La grande svolta avvenne con Mauro Uliassi: «Capii davvero il significato di questo lavoro, con lui e il suo staff, il rispetto di questa professione, dei prodotti e dei produttori. Quello che oggi riesco a portare ai miei studenti, che ha anche il sapore di quei polentoni alla carbonara cucinati sul Monte Nerone le domeniche d’estate di quando ero un ragazzo».

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