FANO - Sapori e Motori, ieri la parola fine sull’inchiesta sulle sponsorizzazioni e i presunti prezzi gonfiati della rassegna motoristica ospitata per diversi anni al Lido. Erano 17 gli imputati e secondo l’ipotesi accusatoria della Guardia di Finanza i prezzi di stand e spazi pubblicitari sarebbero stati gonfiati per portare in detrazione più somme e pagare così meno tasse.
Le figure coinvolte
Davanti al giudice monocratico del Tribunale di Pesaro sono finiti 17 esercenti (per altri 6 le posizioni erano già state prescritte), tra titolari di bar, ristoranti, agenzie di viaggio, ma anche consulenti, carrozzerie, società di costruzione che hanno comprato manifesti, cartelloni, striscioni pubblicitari in occasione dell’evento dedicato alle due e quattro ruote, Sapori e Motori. Il reato contestato era quello di «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e documenti per operazioni inesistenti». Tutto era nato nell’ambito della famosa kermesse che abbina i sapori della tavola alla passione per i motori. Sapori e Motori ha vissuto infatti undici edizioni e richiamava da sempre un certo numero di appassionati delle due e quattro ruote. I fatti contestati riguardano gli anni dal 2009 al 2012. E secondo l’accusa, i prezzi per quei servizi pubblicitari non sarebbero stati congrui. Sarebbero costati troppo, a dire degli inquirenti, anche in rapporto al ritorno di immagine della kermesse.
Si parla di fatture per oltre 200mila euro complessivi emessi dalla società organizzatrice Mimosa Bike.
La difesa: «Prezzi congrui»
Una ricostruzione che gli imputati hanno sempre negato con forza. Sostenendo che i prezzi pagati erano congrui rispetto ai servizi ricevuti. E che non c’erano stati in nessuna maniera passaggi di contante.
Ieri è stata emessa la sentenza che riguardava le annualità 2010, 2011 e 2012. E per tutti gli imputati è scattata la prescrizione. Soddisfazione degli avvocati Simone Soro, Simone Candelora, Andrea Casula, Alessandro Vichi, Alessandra Rossi, Gianluca Montanari. Nell’ambito di questa inchiesta il referente di Mimosa Bike Giampiero Pedini fu condannato a 1 anno e 6 mesi anche in appello mentre fu assolto con formula piena per l’altro filone dell’indagine, legato a un’altra fattura emessa con tramite un’altra società.