Pesaro, il viaggio di "Giangio" nell'incubo Coronavirus: «Le grida e le bare, un girone dantesco»

Pesaro, il viaggio di "Giangio" nell'incubo Coronavirus: «Le grida e le bare, un girone dantesco»
Pesaro, il viaggio di "Giangio" nell'incubo Coronavirus: «Le grida e le bare, un girone dantesco»
di Elisabetta Marsigli
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Mercoledì 25 Marzo 2020, 11:07 - Ultimo aggiornamento: 11:16

PESARO - La luce in fondo al tunnel: Giancarlo “Giangio” Del Vecchio, conosciuto a Pesaro soprattutto per essere un musicista, membro diverse band, oltre che un ottimo tecnico informatico, è reduce dal ricovero al San Salvatore e può raccontare la sua settimana da incubo che si è conclusa bene, per fortuna. «Mi hanno dimesso perché servono posti letto per chi ha bisogno di respirare con l’ossigeno».

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Ancora sono necessari i tamponi (da fare questa settimana) per dichiararlo davvero fuori pericolo, ma la ripresa, seppur lenta, c’è: «Ho fatto una doccia di più di 20 minuti, dopo 23 giorni Non mi pareva vero: ecco come riassaporare piccoli momenti quotidiani. Dopo ho dovuto riposare un po’ però…». 
Un’esperienza che non dimenticherà facilmente: «Ti garantisco che la prospettiva con cui vedi le cose è un’altra rispetto a quella che puoi immaginare standone fuori. Apri gli occhi e vedi passare la bare, c’è gente che urla, che stride che sta male davvero. È un girone dantesco: tutti attaccati ai respiratori e qualcuno che passa nell’altra stanza, per essere intubato».
 
Come è iniziato
Giangio stava male dal 25 febbraio, ma è entrato in ospedale solo il 5 marzo: «Il mio medico ha iniziato a curarmi come per una normale influenza, con antibiotici, cortisone e Tachipirina. Ma la febbre non scendeva. Prima che fossimo realmente zona rossa si procedeva con cautela e non sempre correvano a fare tamponi: è comprensibile. Il tampone fatto dalla Guardia Medica è risultato positivo e dato il mio respiro affannoso, mi hanno ricoverato. Fortunatamente non sono mai stato intubato: gli anestesisti e l’infettivologo mi han detto che ero in condizioni da esserlo, ma ero al limite e potevo anche scegliere di utilizzare la Cpap (acronimo per l’apparecchio eroga aria e mantiene aperte le vie aeree)».

«Per 3 giorni ho avuto questa Cpap, con anche crisi di panico, ma solo perché se sbagli il respiro, se perdi il ritmo per un attimo ti sembra di non riuscire a respirare più! Non ho mangiato né dormito per 3 giorni, poi ho chiesto mi dessero qualcosa, per riposare qualche ora». Il pensiero va a dove si può essere contagiato: «Chi può dire dove, come o quando? Come ditta, lavoro alla Ranocchi, e io e il mio titolare, abbiamo assistito a tutte le partite delle Final Eight di basket. Dopo quell’evento ho continuato la mia vita normale, tra cui una serata all’Excalibur (il 22 febbraio) con Raniero, I Rangzen da Rimini, uno di loro è il caro vecchio amico Claudio Cardelli, ma c’erano anche Gege Giordani, Riccardo Marongiu, Giorgio Lugli. Abbiamo fatto un momento West Coast con tutte le canzoni di Crosby, Still, Nash e Young e Raniero era impazzito dalla felicità. Nessuno avrebbe potuto mai immaginare nulla di tutto questo». In attesa dei tamponi, tiene alto l’umore: «Con antibiotico e antivirale, dovrò stare a casa, per altri 14 giorni, ma da diversi giorni respiro senza ossigeno»
La positività
Poi si interroga: «Una cosa positiva in tutto questo? La grande professionalità, l’abnegazione dei medici e degli infermieri, ma soprattutto dei tanti giovani chiamati alla loro prima esperienza in questo clima e sottoposti ad una pressione che nemmeno i loro colleghi più anziani hanno mai avuto.

Ragazzi che ti sorridono con gli occhi, unica parte che riesci a vedere, che ti sono vicino, che dispensano carezze a chi è lì solo, che ti chiamano per nome e si collegano con i loro tablet per farti parlare con i famigliari. Sono cose importanti, che non dimenticherò».

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