Urbano Ciacci, di Cartoceto, è l’ultimo minatore di Marcinelle: «Laggiù sono morti i miei fratelli»

Urbano Ciacci, di Cartoceto, è l’ultimo minatore di Marcinelle: «Laggiù sono morti i miei fratelli»
Urbano Ciacci, di Cartoceto, è l’ultimo minatore di Marcinelle: «Laggiù sono morti i miei fratelli»
di Veronique Angeletti
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Mercoledì 9 Agosto 2023, 03:15 - Ultimo aggiornamento: 12:31

FANO - Ieri, a Charleroi, in Belgio, all’emozionante cerimonia per il 67esimo anniversario della tragedia di Marcinelle c’era anche Urbano Ciacci, classe 1935, nativo di Cartoceto e cresciuto a Fano che ha lasciato a 18 anni per emigrare in cerca di futuro. Oggi è l’ultimo minatore in vita della miniera del Bois du Cazier.

Nella sua tuta blu, ormai troppo larga, il casco in testa, spicca nel parterre di personalità venute ad onorare i 262 minatori che perirono l’8 agosto 1956, 136 gli italiani.

Dalle Marche erano in dodici, di cui otto del Pesarese. In mano tiene la sua fedele lampada di ottone, imbrunita dal tempo, che segnalava il maledetto grisou, oggi simbolo di una generazione di italiani, che tra il ‘46 e il ‘56 scelsero di andare a lavorare all’estero per una vita migliore. È un appuntamento a cui non vuole rinunciare. Un modo per rendere onore ai suoi fratelli. 


La prima volta a 19 anni


«Perché quel giorno - confida l’88enne - non sono morti i miei compagni di lavoro, ma i miei fratelli». Ricorda che la prima volta che scese aveva appena 19 anni. «Nessuno ci spiegò quello che dovevamo fare e i capi non ci chiamavano per nome ma solo con la matricola incisa sulle nostre medaglie. Io ero il 117». La sua chance la deve alla sua Elsa. «Ci siamo sposati a Fano il 29 luglio 1956, un anno dopo il mio arrivo a Charleroi. E’ lei che mi salvò. Infatti, non avendo mia moglie ricevuto il nulla osta per l’espatrio, abbiamo ritardato il rientro e sono arrivato a Bois du Cazier il giorno dopo la tragedia, saltando il turno fatale». Nei suoi incubi rivede la folla accalcata, con il colpo al cuore quando i soccorritori riuscirono a raggiungere il 23 agosto il livello 1035 dichiarando: “Tous morts, aleen dood, tutti deceduti”. La frase emblema della tragedia di Marcinelle, che obbligò tutte le miniere del Belgio a rivedere la sicurezza dei lavoratori. Urbano scenderà altre tre volte a Bois du Cazier, poi chiederà il trasferimento. «Vedevo ovunque i visi dei morti. Li associavo ai posti dove l’ultima volta avevano lavorato; immaginavo i loro vestiti sui ganci dello spogliatoio; le loro biciclette al parcheggio». Urbano in venticinque anni di discesa, di cui diciotto quale chef “curion”, non ha mai dimenticato i suoi compagni morti a Bois du Cazier. «Non solo gli italiani, ma tutti - ribadisce - Non eravamo un volto, ma un numero, anche perché nel fondo eravamo tutti uguali, tutti con la faccia nera. Dovevamo rimanere al buio, otto ore nel buco nero, ed eravamo quelli che avevano messo nel proprio lavoro la speranza di una vita migliore per sé stessi e per la propria famiglia».


Cicerone per Matteo Ricci


A novembre scorso ha fatto da cicerone a Matteo Ricci, in visita a Marcinelle. «La sua storia – ha commentato ieri il sindaco di Pesaro – è una storia di sacrificio e riscatto sociale, costretto a lasciare il suo Paese per un futuro migliore. Una speranza che più di 60 anni fa mosse anche i miei nonni, emigrati dalla Miniera di zolfo di Urbino per lavorare in quella di Marcinelle. La stessa speranza che, tuttora, spinge ogni giorno migliaia di persone a rischiare la propria vita, per inseguire il diritto alla ricerca della felicità». 
Ieri alla cerimonia anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, la prima volta di un vicepresidente del consiglio italiano, sottolinea la Farnesina. Per Ciacci, «è come se finalmente l’Italia ridasse al minatore il proprio ruolo nella rinascita economica». 
 

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