Start, lo scandalo infinito

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Mercoledì 28 Giugno 2017, 05:00
IL BUCO
ASCOLI Non solo somme non riscosse, ma anche il mistero degli assegni conservati in cassaforte e le registrazioni contabili gestite in prima persona. È un quadro a tinte fosche quello disegnato dalla Procura di Ascoli nell'ambito dell'inchiesta sull'ammanco milionario della Start dopo che i tre indagati - Gabriele Cameli, Andrea Ciabattoni e l'ex direttore della società di trasporti Ado Paolini - sono stati rinviati a giudizio. Tutti e tre devono rispondere dell'accusa di peculato mentre l'ex dipendente della Start deve rispondere anche del reato di abuso d'ufficio che è stato ipotizzato a suo carico.
Le carte
Stando a quanto si evince dalle carte dell'inchiesta, la posizione senza dubbio più delicata, secondo quanto sostenuto dal Pm, è proprio quella di Ado Paolini che con la sua condotta avrebbe consentito alle due agenzie rivenditrici dei biglietti di non provvedere a versare nelle casse della Start le somme dovute: oltre 940mila euro per quanto riguarda l'agenzia Cameli, e più di 70mila euro la somma non riscossa dal titolare del Caffè Mazzini di San Benedetto. Per gli inquirenti, Paolini, nell'arco di un decennio tra il 2014 ed il 2014, avrebbe gestito in prima persona la posizione della società Cameli «curandone persino le registrazioni contabili relative all'apertura di plurime schede di mastro». Inoltre, sempre secondo quando sostiene l'accusa e che dovrà essere confermato nel corso del procedimento penale che si aprirà davanti ai giudici del tribunale di Ascoli il prossimo 8 novembre, l'ex direttore della Start avrebbe effettuato delle rettifiche e dei giroconti rilevanti come avvenuto in occasione dell'errata imputazione degli incassi registrati in favore della Start Spa anzichè della Start Plus. Una situazione che sarebbe stata sistemata contabilmente solo alla fine del 2013 quando già cominciavano ad emergere le difficoltà e i primi scricchiolii che avrebbero, di lì a poco, consentito di accertare il buco in bilancio.
Le segnalazioni
Ad aggravare la posizione di Paolini, ci sarebbe anche il fatto di non aver preso i dovuti provvedimenti nei confronti dell'agenzia Cameli e del Caffè Mazzini, nonostante le segnalazioni fatte dai dipendenti dell'area amministrativa che avevano fatto presente della posizione debitoria delle due rivendite di biglietti. Invece, nei loro confronti non sarebbe stato effettuato nessun sollecito di pagamento e non sarebbe stata intentata nessuna azione per cercare di recuperare i crediti. Tanto che, la Procura, rimarca la condotta omissiva dell'ex direttore che, stante la grave situazione debitoria, avrebbe dovuto farsi rilasciare delle fidejussioni per garantire la riscossione dei crediti maturati dalla Start, così come previsto nelle convenzioni. Il tutto sarebbe accaduto senza mai «informare adeguatamente» i consigli di amministrazione e i collegi sindacali della Start della posizione debitoria delle due agenzie.
Le provvigioni
La Procura, inoltre, contesta ad Ado Paolini di aver consentito alle due rivendite di riscuotere le proprie provvigioni nonostante avessero un significativa esposizione nei confronti della società di trasporto pubblico del Piceno. Ma a rendere ancor più intricata la vicenda ci sarebbero altri due aspetti che dovranno necessariamente esser chiariti davanti ai giudici. Il primo è quello del mistero degli assegni. La Procura contesta a Paolini di detenere senza alcun titolo all'interno della cassaforte del suo ufficio una serie di assegni della società Cameli, solitamente di importo di cinquemila oppure diecimila euro che lo stesso ex direttore avrebbe consegnato periodicamente ai dipendenti amministrativi della Start affinché fossero messi all'incasso.