Inferno in un lampo: Pescara

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Giovedì 25 Agosto 2016, 05:00
IL REPORTAGEdal nostro inviato
ARQUATA DEL TRONTO A Pescara, la frazione di Arquata che non esiste più, la camera mortuaria è a cielo aperto: un giardinetto triangolare dove i cadaveri avvolti nelle lenzuola si allineano con le altalene e i giochi per i bambini. Non c'è altra soluzione: i tetti sono stati spazzati via tutti. Crollati, scivolati via in blocco, implosi. «Fatemeli portare via - implora Alessandra Marano, una donna arrivata da Roma con il marito, in piedi sul muretto, affacciata sulla ringhiera - ne ho quattro, non ho più una famiglia». Alessandra non ha occhi per piangere: ha perso i genitori, Corrado e Santina, il cognato Alberto Reitano e il nipote Tommaso, 16 anni. È un miracolo che parli. La sorella Patrizia è all'ospedale. Il padre, dializzato, non ha sentito niente: lo hanno estratto dalle macerie con i tubi attaccati. Il terremoto non ha un'agenda nè rispetto, spazza tutto. Spazza l'amore di Alberto e Patrizia che il 6 agosto proprio a Pescara del Tronto avevano festeggiato i 25 anni di matrimonio con una festicciola di paese.
La disperazione
«Qui sono morti tutti i villeggianti. E i ragazzi. I vecchi invece sono tutti vivi. Non gli è bastato prendersi mio cognato e i miei genitori- dice Alessandra - almeno ci avesse lasciato il nipotino di zia». Il destino di Tommaso, se possibile, è ancora più straziante. Il padre Alberto non vedendolo rincasare lo aveva chiamato verso le tre. «Dove sei, torna a casa». E si rimette a dormire. Tommaso si incammina: lo hanno trovato nella parte alta del paese, lungo lavecchia Salaria, sotto una parete crollata, insieme a una coetanea, Arianna Masciarelli, anche lei senza vita. Si vedevano solo le gambe di lui e di lei.
La casa di famiglia di Alessandra è nella parte bassa del paese, il cuore del disastro. Sotto il giardinetto della morte, partono le scale, il costone digrada verso la nuova Salaria e là dove prima c'era un grazioso dedalo di viuzze tra le casettine da presepe oggi c'è un ammasso informe di macerie. Due chiese rase al suolo. In una delle case accanto, muoiono Elsa Baroni e la figlia Ivana Rendina. Un viaggio all'inferno. Si incrociano i vigili del fuoco madidi e coperti di polvere, frollini, seghe elettriche e martelli pneumatici in mano, i militari dell'esercito, personale del 118, i poliziotti del reparto mobile di Senigallia che martedì erano in servizio a Roma e sono stati tirati giù dal letto alle 4. Scendono per i pochi viottoli praticabili, si inerpicano sulle macerie, scavano a gruppi di dieci.
Da uno dei sentieri costeggiati dai meli sale una barella con una salma: la portano in otto, c'è poco spazio, bisogna essere in tanti, il telo sporco di sangue. Si fermano in cima al viottolo, stremati, liberano la bocca dalle mascherine. Ripartono, risalgono verso il giardinetto della morte dove ogni mezz'ora sale un cadavere. Sono otto alle 10 di mattina, alle 14 se ne contano 16. Saranno oltre venticinque alla fine della giornata. E si continua a scavare.