Macerata, il prof Capparucci (Abamc) replica a Orazi: «Le luci in vicolo Consalvi? È stato un intervento light»

Il prof Capparucci (Abamc) replica a Orazi: «Le luci in vicolo Consalvi? È stato un intervento light»
Il prof Capparucci (Abamc) replica a Orazi: «Le luci in vicolo Consalvi? È stato un intervento light»
di Giulia Sancricca
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Martedì 16 Aprile 2024, 04:40 - Ultimo aggiornamento: 11:48

MACERATA La critica di Manuel Orazi alle installazioni artistiche in vicolo Consalvi, realizzate collaborazione tra il Comune di Macerata e l’Accademia di Belle Arti, ha acceso il dibattito. A replicare al docente dell’Accademia di architettura di Mendrisio (Svizzera) è il prof Piergiorgio Capparucci, docente di Light design dell’Accademia di Belle Arti di Macerata: «Vicolo Consalvi era un luogo abbandonato e privo di identità, abbiamo provato a rigenerarlo con un intervento “leggero” (Light in inglese significa anche leggero) non violento, ludico e formativo. Basti pensare a tutta la rielaborazione concettuale delle opere di importanti light artists a cui ci siamo ispirati. È anche un luogo dove si possono fare esposizioni artistiche di varia natura, visto che le pareti sono attrezzate per esporre opere con una luce dedicata (e non solo)».

L’opinione

Secondo Capparucci, l’opinione di Orazi «è legittima e se posso anche ben argomentata, ma non è la verità assoluta.

Allora io lo prego di aprirsi a una visione diversa. A un punto di vista, che nel suo scrivere, a mio parere (vede, scrivo parere) non ha tenuto in dovuta considerazione. Perché c'è un'altra via. Anzi, un altro vicolo: vicolo Consalvi». Capparucci argomenta poi la sua posizione andando indietro nel tempo: «Alla fine del XIX secolo la Francia era nel bel mezzo della sua Belle Époque - dice Capparucci -, un periodo nel quale Parigi e le città francesi furono contagiate da grandissimi progressi nell'arte, nella cultura e nella tecnologia».

Le luci

«La nuova Ville Lumière - aggiunge - era nata e nessuno aveva mai visto un impiego così in larga scala di luci artificiali, nelle zone di maggiore storia e pregio della città. Qualcuno, già allora, gridò allo scandalo. Altri, forse trascinati dall’entusiasmo dell’epoca (e non solo), osservavano favorevolmente i monumenti storici di Parigi sotto una nuova luce. In seguito - prosegue - anche la Torre Eiffel, che all’epoca aveva appena dieci anni, venne illuminata e altre zone ancora della città. Qualche decennio dopo, all’incirca nel 1920 in una conferenza pubblica, l’ingegnere Joachim Teichmüller introduceva per la prima volta il termine “Lichtarchitektur” (lucearchitettura) a cui seguì la pubblicazione, nel 1927, con lo stesso titolo. Teichmüller si poneva delle domande riguardo a come intervenire con la luce artificiale, quando e in che misura, accogliendo anche le critiche dell’epoca di studiosi, intellettuali, progettisti, che si mostravano contrari a qualsiasi utilizzo della luce artificiale se non quella dedicata alla mera illuminazione».

Allora Capparucci entra nel merito del dibattito acceso dal collega: «Non voglio dilungarmi, ma nel dibattito (badi bene dibattito) odierno tra esperti del settore, oggi la luce artificiale ha assunto da tempo nella cultura del progetto, pari dignità con le altre culture della creatività, anche e soprattutto a riguardo delle tre grandi arti del disegno e della tradizione: pittura, scultura e architettura. La storia di quest’ultima, che Orazi conosce perfettamente, è intrisa dei vari modi di organizzare lo spazio-luce attraverso: il taglio delle finestrature, i pieni e i vuoti, le aperture, tanto che la concezione ideativa dello spazio architettonico si consolida nel rapporto tra la luce naturale e l’oggetto d’architettura».

I valori

«Ulteriori valori - prosegue - si evidenziano quando il rapporto si sposta tra l’architettura e la luce artificiale. Oggi, in sostanza, la luce artificiale è un materiale della progettazione architettonica a tutti gli effetti, come la pietra, il laterizio, il vetro. Alla luce di tutto ciò si sostanzia per qualsiasi progettista che si voglia misurare in questo lavoro, che è necessario elaborare un modello concettuale, basato sullo studio del soggetto su cui si va a operare e dove il sapere tecnico ed umanistico si integrano e si completano. Quindi una fase della conoscenza, e una fase della valorizzazione. In questo modo si sono ispirate le scelte che abbiamo fatto in tutti gli spazi della città di Macerata che ci erano stati assegnati, e di volta in volta abbiamo, nelle nostre relazioni correlate ai progetti, dichiarato le nostre modalità di intervento. Non abbiamo mai preteso di essere portatori di una “scienza esatta”, perché siamo consapevoli che progettare la luce è una forma educativa, di studio e di ricerca, che può essere applicata».

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