C'è un parco nell'Appennino che abbraccia le alte terre dell'anconetano fino a Cesena e che racconta una storia diversa. Una storia di pane e zolfo, di economie dimenticate, di generazioni di minatori che sfidavano il pericolo perché davano al lavoro più valore che alla loro propria vita. Uomini che, con le loro famiglie, furono spostati dalle Marche a Ferrara negli anni '50 e furono alla base dello sviluppo del comparto chimico nazionale.
La storia
Il Parco, all'inizio, nel 2001 era solo marchigiano, poi nel 2019 fu allargato alla Romagna. Oggi, tutela i siti estrattivi, di lavorazione, archivi e testimonianze storiche del bacino solfifero marchigiano-romagnolo dei Comuni di Sassoferrato (Miniere di Cabernardi, Percozzone e Vallotica), Pergola (raffineria di Bellisio Solfare) e Arcevia; Urbino (Miniere di San Lorenzo in Solfinelli); Novafeltria (Miniera di Perticara-Marazzana), Sant'Agata Feltria, Talamello; Cesena (Miniera di Formignano). La sede legale si trova a Sassoferrato, quella operativa a Pesaro e il Comitato Tecnico Scientifico a Novafeltria. Scoperto nel 1886, il sito di Cabernardi di Sassoferrato fu il centro minerario più grande. Migliaia di operai scendevano fino a 800 metri di cui 515 sotto il livello del mare. Fu chiuso definitivamente il 5 maggio 1959 e nemmeno lo sciopero nel 52 lungo 40 giorni dei "sepolti vivi" alla parola d'ordine "Coppi, maglia gialla" riuscì ad impedirlo.
La tragedia sociale
Fu una vera tragedia sociale con un risvolto importante di emigrazione.