Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova: «Eravamo una tribù numerosa, sono stato per tutti il fratello maggiore»

Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova: «Eravamo una tribù numerosa, sono stato per tutti il fratello maggiore»
Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova: «Eravamo una tribù numerosa, sono stato per tutti il fratello maggiore»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 29 Ottobre 2023, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 07:41
L’aspetto più bello della memoria è che non ammette limiti né restrizioni. Al suo cospetto, nessun Cerbero spaventoso decreta cosa lasciare andare e cosa, invece, mantenere nelle sue reti; non c’è diniego, non c’è censura. Nelle sue maglie finisce tutto indistintamente ed è una vera sorpresa, a volte, fermarsi, guardare indietro e vedere cosa è rimasto invischiato: visi, luoghi, momenti, attimi veloci, giornate intense e quegli scivoloni che fanno male e che, però, solo in apparenza sono calamità: nella realtà si chiamano esperienza e, nella rete dei ricordi, sono sempre vividi e pronti a farsi spazio. Al loro fianco, però, ci sono anche ricordi dolci, addirittura dolcissimi. Per Fabrizio Ciarapica - sindaco di Civitanova al secondo mandato - la dolcezza è fatta di momenti che lo catapultano in una memoria popolata da una schiera infinita di amici, parenti e riunioni festanti e rumorose. 


I ricordi


Sembra di sentirlo ancora oggi, l’eco di quelle immense reunion di famiglia - ricorda il primo cittadino: «Vengo da una famiglia di lunga tradizione civitanovese: anni e anni di Ciarapica condensati in un nuvolo di persone, per la stragrande maggioranza di sesso maschile - ride - il mio bisnonno si è sposato per tre volte, mettendo al mondo tanti figli che, a loro volta, hanno dato vita ai tanti nuclei familiari di Ciarapica sparsi per tutta la città. E a casa mia, non c’è stata certo l’eccezione: oltre che con me, mia madre Novella ha dovuto fare i conti con mio padre Raoul e con i miei fratelli Marco e Cristian. Tre bei Ciarapica che, fortuna per lei, non sono mai stati tipi scapestrati». Il segreto, confessa il sindaco, è tutto raccolto nella sua infanzia e in un’educazione che, da quegli anni e da quella rete di ricordi dolci e sfumati, giunge indissolubilmente fino a oggi.

«Devo tantissimo ai miei genitori e agli insegnamenti che mi hanno impartito in tenera età. Io sono sempre stato un tipo equilibrato, responsabile, quello con la testa sulle spalle, a casa, a scuola come con gli amici. Nel gruppetto di miei coetanei e vicinati del quartiere Risorgimento, dove sono cresciuto e dove ogni pomeriggio significava sbrigare il prima possibile le faccende di studio e poi correre fuori e divertirci con un pallone o con la sola forza della fantasia e di una creatività smisurata che trasformava ogni cantiere in una pista per biciclettate spericolate, ero io il fratello maggiore di tutti, perché tutti mi riconoscevano questa misura.

E questo, grazie ai miei genitori e all’educazione di sani principi che hanno impartito a me come ai miei fratelli: anche quando sbagliavamo o combinavamo qualche marachella, ci facevano sempre capire l’errore senza punizioni esemplari, scenate o schiaffoni che volavano da ogni parte. Al contrario, ci spiegavano le cose con pazienza e con l’esempio cristallino che ci davano, perché per noi le parole sono state sempre importanti ma le azioni ancor di più».

C’è un momento preciso, però, in cui nella famiglia Ciarapica la parole diventano tante, una moltitudine felice che si fa rumore, allegria, che sa di casa, di bellezza vera, di legami indissolubili. Quelle voci sono le colonne sonore di estati intere anzi, per la precisione, di una parentesi d’estate che però vale per tutta una stagione.

«Ogni anno, con la mia famiglia allargata di tanti Ciarapica, andavamo un mese in vacanza a Montemonaco. Mio padre per anni ha lavorato alle Officine meccaniche Cecchetti ed era quello che tutti chiamavano un cecchettaro. Da bambino le sue estati erano segnate dalle colonie che venivano organizzate a Montemonaco, un ricordo che ha portato sempre nel cuore e ha nutrito intensamente per tutta la vita. Così tanto da decidere, assieme ai fratelli e ai suoi cugini, ogni anno di ripetere l’esperienza e portare fin lassù tutta una banda di bambini rumorosi e desiderosi solo di giocare all’aperto e divertirsi. Eravamo una vera tribù immensa, una baraonda di voci, di idee, di avventure, di un divertimento forte ma genuino consumato alla luce del sole. Ricordo con tantissimo affetto le belle giornate passate insieme: ci si alzava presto, si faceva colazione poi via a giocare a pallone o a tutto quello che ci suggeriva la fantasia. Ci pervadeva un senso di famiglia, di unione e di comunione senza pari, alimentato dalla dolcezza di un panorama senza tempo. E oggi, come allora, nei ricordi non è cambiato nulla».
 

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