Nelle Marche vigne e vini perfetti, ​quattro enologi si confrontano sulle tendenze del territorio e le criticità

Nelle Marche vigne e vini perfetti, quattro enologi si confrontano sulle tendenze del territorio e le criticità
Nelle Marche vigne e vini perfetti, ​quattro enologi si confrontano sulle tendenze del territorio e le criticità
di Raffaello De Crescenzo
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Sabato 1 Luglio 2023, 06:59 - Ultimo aggiornamento: 11:21

ANCONA - Dalla vigna alle stelle. Le Marche del vino sulla strada dell’eccellenza con pregi (molti) e criticità (poche): tanto è stato fatto, ma altrettanto c’è da fare. Per questo il Corriere Adriatico ha messo a confronto quattro enologi che operano in regione. Il risultato è univoco: vigne e viti sono sempre di qualità superiore; proprio per queste caratteristiche il valore economico della produzione marchigiana deve crescere. 

Il primo a dirci la sua è David Soverchia che, tra i vari impegni, assieme al padre Giancarlo porta avanti l'attività di consulenza su buona parte delle aziende del centro-nord delle Marche: “Negli ultimi anni si è lavorato alacremente al fine di valorizzare i territori marchigiani, cercando di differenziare i prodotti locali. L'obiettivo è quello di presentare sempre nuovi prodotti, come il metodo classico, il pet-nat, il no solfiti bianco e rosso, al fine di stimolare l'interesse del mercato verso i nostri vitigni e i nostri territori, provando a svincolarsi da logiche di mercato ribassiste.” È proprio sull'aspetto del prezzo che c'è da fare importanti passi avanti, secondo il neo professore a contratto di Enologia dell'UNIVPM: “La mancanza di unità nella nostra regione si fa sentire e ha causato una stagnazione, dove la mancata remunerazione del vino, prima, e delle uve, poi, sta generando un aumento della povertà culturale. Il vino rischia così di diventare una bevanda banale, slegata dal territorio di produzione, per limitarne i costi.” In parallelo, grande lavoro è stato svolto sui vitigni “minori”, dalle potenzialità fino a poco fa inespresse, come il Famoso, l'Incrocio Bruni 54, la Garafonata: “vitigni su cui investire per il futuro di un'intera regione.”

Prima di tutto, però, deve crescere il livello culturale, grazie ad un aumento di tecnici laureati in Viticoltura ed Enologia, al fine di aiutare le aziende a compiere scelte produttive capaci di portare ulteriormente in auge i vini marchigiani: “La tecnologia già presente nelle nostre cantine non deve esser vista come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza per un rinnovo costante e continuo nel tempo, magari anche grazie all'aiuto di appositi programmi di sostegno.”

Gli fa eco Simone Schiaffino, enologo della Cantina Tenute Pieralisi, sita a Maiolati Spontini, che pone l'accento sull'importanza del binomio Viticoltura-Enologia: “per produrre un buon vino si devono portare in cantina uve di ottima qualità; ecco che allora il lavoro in vigna diviene fondamentale perchè, se si parte da grandi uve, tutto ciò che resta da fare poi è semplicemente “cullare” il vino, aiutandolo nella sua evoluzione, senza mai interferire con tutte le sue espressioni gusto-olfattive.”

Oggi, nella nostra bella regione, rispetto al passato i vini sono sempre più territoriali e di grande personalità, strettamente legati alla coltivazione sostenibile, vinificati senza mai stravolgere le  caratteristiche tradizionali.

Schiaffino, fresco vincitore della medaglia d'Oro al Concorso Mundus Vini 2023, con il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Villaia 2021”, aggiunge ancora: “Molti produttori marchigiani praticano agricoltura biologica e sono arrivati a sdoganare i vini da fermentazione spontanea, proprio come quelli che faceva mio nonno. Ecco, allora, che ci troviamo sempre più di fronte a vini che esprimono il terroir delle uve da cui provengono e credo che, affinché il vino della nostra regione si possa attestare ai massimi vertici in futuro, dovremo solo continuare su questa strada.”

Insomma: un ritorno al sostenibile, alla tradizione e alla tipicità in cui vini unici, in grado di regalare sensazioni irripetibili, si esaltano grazie agli aromi ed ai sapori dei nostri terreni, ed alle caratteristiche pedo-climatiche delle zone di provenienza.

Anche Fabrizio Fimiani, consulente vitivinicolo di diverse cantine, non solo marchiagiane, nonchè fondatore di Vinifera Consulting, è d'accordo sul generale sviluppo dell'enologia nella nostra regione: “Le tecniche di produzione sono molto migliorate, le aziende si sono dotate di attrezzature e strumenti enologici nuovi ed efficienti, è migliorata la cura dei vigneti, il rispetto della materia prima ed il legame tra vitigno e territorio, a livello generale, si è stretto ancora di più.

In particolare, nel mondo del Verdicchio molti giovani hanno preso in mano le redini di una cultura vitivinicola d'eccellenza, rendendola ancora più interessante e solida.”

I vini marchigiani sono oggi più moderni, di maggior approccio, pur mantenendo sempre  territorialità e riconoscibilità ambientale: si esalta, così, il legame con la famiglia e il territorio.

Anche per l'enologo maceratese, dunque, l'aspetto dei prezzi ha una notevole rilevanza, un punto di partenza su cui gli enti dedicati dovrebbero lavorare, incrementando, per esempio, il turismo legato al vino, aiutando le aziende, soprattutto le più piccole, quelle di nicchia, ad avere visibilità e facilità di accoglienza.

Il confronto, allora, diventa imprescindibile: “Fare sistema, come ad esempio avviene per i giovani produttori di Staffolo (ma non solo), porta sicuramente ad essere più appetibili sul mercato. Tanto hanno fatto anche i nuovi  metodi di produzione che hanno svecchiato gli stili dei vini, rendendoli più intriganti ed appetibili. Penso inoltre che la curiosità personale dell'imprenditore nell'assaggiare gli altri e soprattutto i più bravi, nutrita da persone esterne, sia un'ottima strada per rendersi più vincenti con i propri prodotti.”

In controtendenza, almeno in parte, Roberto Potentini: “L'’enologia marchigiana nell'ultimo ventennio è cambiata, ma forse neanche tantissimo.” L'enologo, nativo di Urbisaglia, è membro dell'Accademia Italiana della Vite e del Vino dal 1996; sono ben 45 le vendemmie a cui ha preso parte nella sua lunga carriera, che lo ha portato ad essere Direttore generale della Cantina Belisario di Matelica, nonchè consulente per diverse altre aziende, tra cui La Monacesca. “Sono aumentate molto le piccole aziende vitivinicole e con esse tutta la filosofia dei progetti vitivinicoli legati al “piccolo è bello” - afferma con convinzione, aggiungendo - Probabilmente è migliorata la qualità diffusa dei vini, ma è peggiorata la capacità di marketing e comunicazione per l'ulteriore frammentazione della produzione. Troppi vini a DOC e all'interno delle stesse denominazione molto spesso vi sono troppe declinazioni produttive: promuovere 20 vini a denominazione di origine controllata, arrivando in cui in alcuni casi a decine di varianti tra bianchi, rossi, rosati, superiori, classici, riserve, spumanti, passiti, con una notevole complessità di vitigni coinvolti, crea un grave problema di comunicazione e soprattutto l'impossibilità di essere riconosciuti nei mercati fuori regione.  Forse sarebbe più facile parlare non di vini tipici, che è oramai un concetto affogato nella retorica e nel ridondante, ma di territori ad altissima vocazionalità vitivinicola, a prescindere dal vitigno autoctono, che è solo la conseguenza di una vocazionalità monotematica. Si è fatta troppa confusione usando in modo improprio i termini “tipico”, “tradizionale” e “genuino”, fino a farli cadere nella banalità. Per vino genuino, ad esempio, spesso si intende un prodotto su cui “non si è fatto niente”: nulla di più sbagliato e forviante nel settore vitivinicolo! Genuino, infatti, significa “fatto bene”, e non “pigia l’uva e spera in Dio”. L’aceto è un prodotto spontaneo, il vino no.”

Ma come far percepire il valore delle nostre produzioni, allora? “Credo che il problema vitivinicolo della regione non sia di migliorare di molto la qualità nel bicchiere: il Verdicchio, ad esempio, ha già raggiunto da tempo lo status mediatico di grandissimo vino bianco, ma il valore medio è tra i più bassi per quanto riguarda i bianchi “di rango” italiani. Un Vermentino di Bolgheri DOC all,ingrosso, ad esempio, vale mediamente il triplo di un buon Verdicchio e certamente la differenza di valore non è minimamente proporzionale alla differenza di qualità nel bicchiere. La differenza è tutta sulla qualità percepita, sull'aspetto del brand, della moda, delle tendenze: i vini marchigiani sono da molto tempo considerati “onesti” con ottimo rapporto qualità-prezzo, ma sempre fanalino di coda nel valore riconosciuto. Ciò comporta una “povertà” della filiera vitivinicola marchigiana che ha come conseguenza una bassissima forza di investimento sull'immagine e sulla comunicazione della qualità stessa. In tanti abbiamo trovato energie per costruire vigneti e cantine, in pochi poi abbiamo energie per frequentare i salotti buoni dove si crea la moda e si fa tendenza.

Pecorino e Passerina sono vini che negli ultimi due decenni hanno avuto un successo di mercato enorme, ma con valori medi poco premianti. Il Verdicchio forse sta riuscendo a migliorare, anche se con grande lentezza.”

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