Quelle fusioni detestate nella regione dei campanili

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Martedì 25 Ottobre 2016, 05:00
Andrea Fraboni
a.fraboni@corriereadriatico.it
Niente da fare. Tra Senigallia e Morro d'Alba il matrimonio è saltato. Nel referendum di domenica, percentuale di votanti irrisoria sulla spiaggia di velluto (16,19%), più sentita a Morro (72,65%): ma su entrambi i fronti ha vinto, forte e chiaro, il No. Se questo risultato era prevedibile tra le belle colline che accarezzano più la Vallesina che la valle del Misa, la risposta negativa dei senigalliesi (oltre il 60%) è meno scontata. E politicamente più stimolante. Di questo referendum per incorporazione se ne è parlato pochissimo a Senigallia, interesse vicino allo zero. Invece a Morro i toni alla vigilia si son fatti pesanti. Quando un Comune grande cerca l'unione con un piccolo il risultato è quasi scontato: tutto resta come prima. Era già successo in primavera nel Pesarese: Mombaroccio aveva detto no a Pesaro, poi il niet di Tavoleto a Urbino. Ma i grandi avevano votato e detto Sì. Tra Senigallia e Morro la volontà dei cittadini è stata invece comune: nessun interesse ai benefici economici che la fusione avrebbe comportato, al diavolo i conti dei ragionieri, ognuno si tiene il proprio campanile e la propria identità. Anche se non è stato sempre così. Dal 2014 Monterado, Castelcolonna e Ripe si sono stretti per mano e ora sono Trecastelli. Tra Senigallia e Morro difficile trovare punti di contatto. Anche a tavola: un bel piatto di pesce non si sposa con il rosso più profumato d'Italia, la Lacrima di Morro. I sindaci Mangialardi e Cinti ci hanno provato, soldi pubblici sono stati spesi. Per far restare ognuno a casa sua.
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