FERMO - Piange Olena, quando racconta del marito e del padre rimasti in Ucraina. Da qualche minuto, dopo due giorni di viaggio in autobus, è arrivata a Porto San Giorgio. Ha la faccia stanca, i capelli raccolti in una coda e un piumino rosa. Mercoledì ha lasciato il centro di prima accoglienza di Tomaszow Lubelski, in Polonia. Assieme a lei, ieri a mezzogiorno nel porto peschereccio, da diverse parti dell’Ucraina, sono arrivate altre 33 persone, tutte donne e bambini. Si tengono per mano, per non perdersi a vicenda.
Gli guardi smarriti e gli occhi bassi di chi ce l’ha fatta e non se ne rende ancora conto.
«Ci ha detto che il centro di Tomaszow Lubelski, che si trova a 60 chilometri da Leopoli, non ce la faceva più, perché c’erano più di mille persone. Siamo partiti subito e arrivati martedì», racconta Salvatelli ricostruendo gli ultimi giorni. Ricorda, in particolare, «la diffidenza delle donne che ci guardavano sedute sulle brandine». Prima di mettere in mano a degli estranei la loro vita e quella dei figli, volevano sapere dove le avrebbe portate quell’autobus su cui sarebbero salite. E che vita le avrebbe aspettate una volta arrivate a destinazione. Tanti dubbi, dissolti al ricordo delle bombe e del terrore di non farcela. E una certezza: «Siamo vivi e siamo qui. È un miracolo. Non possiamo credere a così tanta bontà. È bellissimo, ma vogliamo tornare a casa il prima possibile», dice Olena.
Lei è di Kiev e in Polonia è arrivata con la Croce Rossa, che l’ha caricata a Leopoli, dov’era arrivata con un treno militare. Olena non parla inglese. Per farsi capire, si affida a Natasha, ucraina anche lei, da ventidue anni a Porto San Giorgio. Alle voci di queste madri che hanno lasciato tutto in patria per salvare le loro vite e quelle dei figli si mischiano quelle dei piccoli. Giocano con i palloncini colorati dei clown di Marche Magiche. Sgranano gli occhi davanti alle bolle di sapone giganti. Si rincorrono. Fanno quello che i bambini dovrebbero fare, lontano dalla guerra. In un angolo, appoggiato a terra c’è un trasportino. Dentro, un gatto di quelli senza peli annusa l’aria. È di una donna che non se n’è voluta separare. «Ha paura», dice, mentre gli fa una carezza attraverso la grata. Uno dopo l’altro, i 34 profughi arrivati in provincia vengono controllati dal personale dell’Asur. Poi, tocca ai tamponi per il Covid. Il pranzo l’hanno preparato la Protezione Civile e l’associazione dei pescatori.
La sosta al porto peschereccio della città finisce lì. Poco dopo, 19 profughi partono verso le loro nuove case. Si tratta delle abitazioni che sono state messe a disposizione da famiglie di Porto San Giorgio, Fermo, Campofilone e Falerone. Gli altri 15, tutti della stessa famiglia, vivranno in quattro Cas (centri per l’accoglienza straordinaria), a Fermo. Tutti, nei nuovi alloggi, sperano di restarci il meno possibile e di poter tornare presto a casa. Alla vita di prima.