Fermo, respinto anche l'Appello
Amedeo Mancini resta in carcere

Amedeo Mancini
Amedeo Mancini
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Mercoledì 31 Agosto 2016, 10:45
FERMO Amedeo Mancini resterà in carcere. Lo ha deciso ieri mattina il tribunale del Riesame di Ancona che ha rigettato l’Appello presentato dall’avvocato Francesco De Minicis. Il 38enne fermano accusato dell’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, il richiedente asilo scappato dalla Nigeria e ospite al seminario della comunità di don Vinicio Albanesi, resterà dunque dietro le sbarre. «Faremo sicuramente ricorso in Cassazione - annuncia il legale commentando la decisione dei giudici -. Noi non molliamo perché i fatti sono ormai chiarissimi. Il tribunale, stamane, non aveva ancora neanche letto la nuova versione della teste chiave da noi depositata e considerata invece decisiva per chiarire come siano davvero andati i fatti quel pomeriggio di luglio a Fermo».

Da settimane l’avvocato sostiene infatti come sia pacifico ormai che l’aggressione da cui è scaturita la morte di Emmanuel non sia partita da Mancini ma dai nigeriani. «Ci sono prove a favore di Mancini con la teste chiave che ha corretto la sua versione». Quella teste, infatti, inizialmente sosteneva, prima in un verbale del 5 luglio e poi in uno del 7 luglio, entrambi redatti dalla polizia, che i due ragazzi di colore si erano allontanati di una ventina di metri e Mancini li avrebbe raggiunti. Particolari, questi, riferiti solo da una dei testimoni ma non smentiti dagli altri che semplicemente non li hanno notati. Il giudice del riesame quindi le ha creduto basando il suo provvedimento proprio su quei particolari temporali, sostenendo anche che i due nigeriani, una volta sfogata la rabbia, facevano per andarsene e Mancini non avrebbe dovuto raggiungerli per sferrare quel pugno mortale. Quando il 13 agosto De Minicis riesce ad avere tutti gli atti, anche quelli in un primo momento secretati, dell’inchiesta, si accorge che la testimone era stata però sentita una terza volta dalla polizia, il 20 luglio. «In questo terzo verbale la testimone corregge il tiro e dice che mentre Mancini si rialzava, Emmanuel era fermo a qualche metro da lui e non più a venti metri come sosteneva all’inizio!». 
 
A quel punto il difensore ha convocato nel suo studio la testimone e, con tanto di registrazione videofilmata, l’ha risentita e con una foto del curvone di via Veneto sotto mano, si è fatto indicare esattamente il punto in cui si trovavano quel pomeriggio Emmanuel, Chinyery e Mancini. «La testimone, senza esitazione, ha indicato tutto aggiungendo che Chinyery non ha mai mollato la presa su Mancini ed Emmanuel era a pochi passi da lui e non distante. Sono dettagli importanti, fondamentali, perché proprio sul preteso iato temporale, decaduto con la nuova testimonianza della teste, si era basato il diniego di scarcerazione da parte del gip. Quella memoria, con le nuove dichiarazioni del teste, l’abbiamo presentata il 25 agosto ma, al contrario di quello che pensavamo, non è bastata a far cambiare idea al tribunale, c’è stata una decisione a prescindere dalle nuove carte depositate». Bisognerà ora attendere il dna sul bastone. Si aspetta inoltre il 6 settembre quando verrà depositata la motivazione del primo rigetto, quello del 5 agosto scorso. Trascorreranno 30 giorni invece prima di poter conoscere le motivazioni dell’Appello. «Faremo ricorso in Cassazione - annuncia De Minicis - . Abbiamo motivazioni solide ma si capiva dal linguaggio non verbale del collegio che sarebbe andata diversamente da come noi auspicavamo anche questa volta». Salutando Amedeo Mancini, ieri mattina presente ad Ancona per assistere all’udienza, l’avvocato l’aveva preparato dicendogli che, vista l’aria che tirava, non ci sarebbe stata, anche questa volta, speranza. 
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