Fermo, arrivano gli esami del Dna
Non c'è traccia del nigeriano sul paletto

Fermo, arrivano gli esami del Dna Non c'è traccia del nigeriano sul paletto
di Lolita Falconi
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Venerdì 23 Settembre 2016, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 27 Settembre, 11:56
FERMO - C’è un fatto scientifico incontrovertibile che emerge dalle prime risultanze dell’esame effettuato dai Ris sul paletto stradale entrato a pieno titolo nell’inchiesta sull’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi: non ci sono tracce né biologiche né di altra natura riferibili al nigeriano. 
 
La notizia, contenuta nell’approfondito dossier che i carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche hanno predisposto per la Procura di Fermo, è arrivata al terzo piano di corso Cavour nei giorni scorsi ed è stata accolta dai magistrati come un indubbio punto a favore delle tesi accusatorie. Il procuratore della Repubblica Domenico Seccia lavora a testa bassa per chiudere il caso e si tiene lontano, come sempre fatto dal 6 luglio scorso in poi, da ogni risalto mediatico. Tuttavia fonti interne alla Procura confermano che effettivamente in base all’esame scientifico «sul paletto non ci sono tracce di Emmanuel Chidi». La conseguenza logica è dunque che Emmanuel Chidi non l’abbia toccato, né per lanciarlo contro Mancini né per subirne il colpo. Tra il segnale stradale e il nigeriano non ci sarebbe stato insomma alcun contatto. Altra conseguenza è che, invece, Mancini l’ha senza dubbio toccato in più parti: agli estremi del segnale e lungo il paletto. Che l’abbia fatto per difendersi o per attaccare, sarà oggetto di confronto giudiziario tra le parti. 
 
Certo è che mentre la Procura incassa il punto e si concentra su altro, la difesa, rappresentata dagli avvocati Francesco De Minicis e Savino Piattoni, dovrà ora spiegare come sia possibile che un segnale sia stato scagliato contro Mancini senza che chi l’ha brandito abbia lasciato traccia, considerato che le tracce biologiche e il Dna non si cancellano facilmente. 
Una spiegazione, suggerita dai consulenti di parte della difesa, sarebbe che nel punto in cui il paletto sarebbe stato afferrato dal nigeriano, le tracce di dna potrebbero essere state cancellate o confuse dalle persone che, dopo l’aggressione e fino al sequestro del segnale stesso da parte della polizia (avvenuto tre ore dopo, intorno alle 18,30 del 5 luglio), avrebbero toccato il paletto. Certo, sembra strano che a scomparire siano state solo le tracce di Emmanuel e non quelle di Mancini ma sicuramente su questo come altri aspetti si giocherà, quando e se si andrà a processo, il confronto, che si preannuncia piuttosto dialettico, tra pubblica accusa e difesa. 
 
Altro aspetto da chiarire è perché non siano presenti le tracce di Dna del vigile urbano che avrebbe spostato, il segnale che al momento del suo arrivo si trovava a terra in mezzo alla strada. «L’ho spostato dopo averlo fotografato nella posizione in cui si trovava - aveva raccontato il vigile a verbale - in quanto poteva essere di intralcio alla circolazione». Certo, dimostrare ora che il vigile urbano ha senza ombra di dubbio afferrato il segnale (dove?), senza guanti, per rimetterlo a posto potrebbe in parte rimettere in discussione il valore della prova scientifica e avvalorare la tesi dell’inquinamento probatorio pre-sequestro del reperto. Ma questo è ancora tutto da dimostrare.
 
Insomma, il procedimento penale a carico di Mancini è uno dei più avvincenti e interessanti dal punto di vista giuridico e tecnico-scientifico, degli ultimi anni. 
Interessante anche perché l’esito di tutta questa vicenda, iniziata con l’insulto razzista («Africans scimmia») rivolto da Mancini a Chinyery che transitava in via Veneto con il compagno, culminata con il furibondo litigio da cui è scaturita la morte del richiedente asilo, è da uno ics due. Si va dal rischio di una condanna a oltre vent’anni (l’omidicio preterintenzionale prevede, in base all’articolo 584 del codice penale, una condanna da 10 a 18 anni), considerando le possibili aggravanti tra cui quella razziale, già contestata in prima battuta dalla Procura, all’assoluzione-proscioglimento per legittima difesa di Mancini. 
 
I margini dunque sono ampissimi, non è in gioco un anno in più o un meno di carcere, e si capisce quindi anche la cura e l’attenzione con cui tutte le parti stanno seguendo il caso, cercando di sfruttare ogni singolo aspetto della vicenda a proprio vantaggio. 
 
I nodi intorno a cui si gioca in particolare la difesa di Mancini sono comunque tre: primo, poter dimostrare che l’aggressione dei nigeriani non è stata una reazione istintiva all’insulto subito ma meditata al punto che Chinyery ed Emmanuel si sarebbero allontanati per poi tornare indietro dopo un po’ per regolare i conti; secondo che quel palo è stato afferrato da Emmanuel (come peraltro dicono tutti i testimoni) e scagliato contro Mancini e non viceversa (ma qui gioca contro la prova scientifica); terzo, il punto cruciale, dimostrare che quel pugno sferrato da Mancini è stato dato quando l’aggressione da parte dei nigeriani era ancora pienamente in corso e non sferrato per mera rabbia, con l’intento di regolare i conti, quando i due nigeriani facevano per andarsene. Per ora tutti i giudici che si sono pronunciati sul caso hanno ritenuto non confingurabile la scriminante della legittima difesa nella condotta di Mancini, confermando il grave quadro indiziario a suo carico, avendo arrecato lesioni volontarie ad Emmanuel in conseguenza delle quali quest’ultimo è deceduto. Ma la strada è ancora lunga. E l’esito finale da uno ics due.
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