Fermo, i bombaroli firmavano
le azioni come Capitan America

Fermo, i bombaroli firmavano le azioni come Capitan America
di di Maria Teresa Bianciardi
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Sabato 23 Luglio 2016, 16:04
FERMO - Predicavano l’anarchia ma si firmavano col simbolo di Capitan America i bombaroli di provincia arrestati l’altro giorno nel blitz dei carabinieri: talmente convinti di essere astuti come volpi da non accorgersi, per settimane, di essere pedinati e intercettati 24 ore su ventiquattro. Invece Martino Paniconi lo era, eccome, ed è proprio dalle indagini ambientali che affiora tutta la spavalderia: «...Le voci possono girare quante gliene pare... Quando uno le cose le sa fare no mi pigliano!», dice parlando con un amico che lo incalza sugli avvenimenti a più riprese fino a fargli raccontare persino i dettagli degli attentati esplosivi alle chiese di Fermo. «Quante ne avete fatte 5 o 6 di chiese poi?» domanda il ragazzo. E Paniconi senza esitazione: «Cinque». «Tutte zompate?» . E lui: «L’ultima no, i portoni sì!». 
Le intercettazioni 
Si vanta Martino Paniconi. Dell’organizzazione praticamente perfetta, degli atti messi a segno: «Le prove stanno a zero! Ahò, che abbiamo fatto le cose a c... Le abbiamo fatte precise! Dna cose che non esistono! L’unico Dna che possono avere è quello del Lupo della sigaretta quando è andato lui, solo quello». L’amico domanda: «Perché dopo non ci andavate insieme a metterle?», Paniconi precisa: «No, uno alla volta, uno stava in macchina uno metteva». «Esplodevano dopo quanto quelle?». «Dopo cinque minuti... Abbiamo fatto le prove dentro casa, abbiamo fatto tutte le tempistiche con le micce finte con le cose varia dai tre minuti e mezzi ai cinque minuti, dipende dal vento». Le conversazioni intercettate a bordo dell’auto di Martino Paniconi hanno consentito di acquisire elementi investigativi importanti sulle responsabilità del 44enne ma anche sul conto di Marco Bordoni.
Il lupo in azione
Negli ambienti degli ultrà fermani Marco Bordoni è conosciuto come il “lupo”. Per gli inquirenti che hanno seguito, passo dopo passo, il trentenne fino al giorno del suo arresto, sarebbe lui la mente degli atti intimidatori messi a segno dall’inizio dell’anno nelle chiese della provincia. Ipotesi in parte confermata anche da Paniconi nel corso delle intercettazioni: «Io gli dicevo: stiamo buoni un paio di mesi, lui mi veniva a suonare a casa, sai quante bottiglie dentro casa, non ce la facevi a cacciarlo, dovevi farlo e basta». Ed è proprio in questo momento che affiorano genesi e motivazioni degli attentati: «È un libro che parla di anarchia li ho perso il cervello, mi ha fatto», ammette un amico parlando con Paniconi. Che risponde: «Lui ha perso la testa e io lo appoggiavo».
Anarchia e supereroi
Bordoni il Lupo è un anarchico per convinzione, non per conoscenza approfondita. Qualche lettura per esaltare le proprie fantasie, la spregiudicatezza come rampa di lancio e un’incontenibile ansia da ribellione in tutta questa storia potrebbero avere avuto un ruolo determinante nel farlo inciampare in grossolani errori e portarlo dritto in carcere. Uno su tutti: la bandiera di raso nera con il simbolo del movimento anarchico sequestrata nel corso delle perquisizioni domiciliari da parte di carabinieri e Ros. Al centro del tessuto in raso c’è disegnata una A all’interno di un cerchio, un’effige molto più vicina al marchio di Capitan America che al logo che da anni ormai distingue i sovversivi, dove le punte della vocale fuoriescono dalla circonferenza. Simbologia démodé che però nell’inchiesta Churchbomber diventa fondamentale per associare il Lupo agli attentati. Proprio lui, secondo gli inquirenti, avrebbe scritto e inviato al Corriere Adriatico una lettera anonima come rivendicazione dei primi tre atti esplosivi commessi tra gennaio e marzo. «La chiesa è corruzione pedofilia ripetuti abusi sessuali e di potere Boom!», è stato scritto con una combo di ritagli di giornale utilizzando proprio il primo logo degli anarchici per definire la matrice degli episodi esplosivi. Una firma che però è servita agli investigatori per associare Bordoni ai fatti al centro dell’inchiesta.
Don Vinicio ed Emmanuel
Anche la seconda lettera anonima arrivata alla nostra redazione di Fermo secondo gli investigatori sarebbe da ricollegare alla mano del Lupo, infastidito dalle dichiarazioni di don Vinicio Albanesi successivamente al ferimento e alla morte del migrante nigeriano Emmanuel Chidi Namdi da parte di un altro ultrà di estrema destra, Amedeo Mancini. La missiva è arrivata l’11 luglio scorso, anche questa compilata con ritagli di giornale e subito consegnata ai carabinieri di Fermo. «Le bombe alla chiesa sono di matrice anarchica. Don Vinicio smetti di dì c...te»: chiaro il riferimento alle parole del presidente della comunità di Capodarco che in diverse occasioni ha ipotizzato lo «stesso giro» per entrambe le vicende che hanno scosso la comunità fermana. Un tentativo di fissare motivazioni politiche e non razziali alla base degli attentati esplosivi, che comunque le indagini hanno ristretto a un unico giro - come rimarcato appunto da don Vinicio - quello degli ultrà. Nel provvedimento che ha anticipato l’arresto dei presunti bombaroli si desume anche che proprio la morte violenta del povero Emmanuel e l’arresto di Mancini abbiano reso Paniconi e Bordoni consapevoli del fatto che la procura aveva indirizzato le indagini verso il mondo della tifoseria più incallita. Nelle intercettazioni, confusamente, Paniconi fa proprio riferimento all’arresto di Amedeo Mancini, che su Facebook chiama affettuosamente «fratello». E dice: «... Io ne ho parlato in giro visto che ha accusato Amedeo (Mancini) e Amedeo sta dentro... Accusa sommaria su questo, io ne volevo fare un’altra... Invece Amedeo non c’entra un c...!».
La rabbia per la ex
Un numero di cellulare e la scritta «no mercenaria» sul muro del casolare abbondato utilizzato come base logistica per gli ultimi due attentati, hanno messo gli investigatori sulle tracce di Martino Paniconi. Un gesto istintivo in un momento di rabbia dopo la fine della storia con la sua compagna, a cui era intestata quell’utenza telefonica. La ragazza, convocata dai carabinieri, ha confermato di avere attivato quel numero di telefono a febbraio e di averlo mantenuto fino a quando i rapporti con il suo ex non erano degenerati. Ha anche spiegato agli inquirenti che Paniconi era solito chiamarla così - mercenaria - nei momenti di maggiore tensione nei suoi confronti. Era l’indizio che si attendeva da tempo e che ha dato l’accelerata alle indagini dal 14 luglio in poi.
La fuga all’estero
Che non fossero gli Einstein della criminalità, ma comunque molto pericolosi per la natura degli atti esplosivi messi a segno, lo hanno capito subito gli inquirenti che gli stavano alle calcagna. Tuttavia proprio dalle intercettazioni appare evidente come Bordoni e Panichi abbiamo potuto contare su una rete di protezione non indifferente nella cerchia di amicizie, tanto da potere agire indisturbati per ben cinque volte. Amici che nei giorni precedenti all’arresto li hanno sostenuti anche per organizzare una fuga all’estero. Paniconi, per esempio, progetta di partire con un amico: «Ammucchiamo tutto quello che abbiamo e partiamo!! Dove c.. andiamo andiamo!». Così l’uomo che è con lui propone: «... Francia». E lui replica: «In Francia mettono le bombe!! Andiamo in su! Dove ti pare... Ahò Svizzera, Austria, le nazioni che stanno a confine!...Io parto subito, non rivengo più l’hai capito?». A questo punto l’amico ha un’idea: «Andiamo a Londra?». Panichi: «Andiamo fino a Londra con la macchina che me ne frega!». Stabilita la meta i due iniziano a studiare un piano di fuga, prima con l’auto infine con l’aereo. Il giorno X era fissato per lunedì prossimo: Bordoni e Panichi sono stati bloccati qualche ora dopo quest’ultima intercettazione.
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