Fukushima, acqua nell’oceano: ma è questo il vero problema?

Fukushima, acqua nell’oceano: ma è questo il vero problema?

di Francesco Regoli
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Giovedì 21 Settembre 2023, 06:00

Il 24 agosto il Giappone ha annunciato l’inizio dello smaltimento in mare delle acque radioattive della centrale nucleare di Fukushima scatenando immediatamente molte proteste popolari e dei paesi limitrofi che hanno definito irresponsabile questa decisione per la salute dell’ambiente e le conseguenze sui pescatori locali. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha invece rassicurato che la procedura è stata attentamente valutata, non presenta alcun rischio e che vigilerà su tutte le misure di sicurezza previste. Vediamo come siamo arrivati a questa situazione.

Nel Marzo 2011, dopo il violento terremoto che ha colpito il Giappone, i sistemi di sicurezza hanno automaticamente fermato i reattori nucleari della centrale ed attivato i generatori di emergenza per garantire il loro necessario raffreddamento. Non era però stato previsto l’arrivo dopo poche ore di un’onda di tsunami alta 13 metri, che ha sommerso e messo fuori uso questi generatori, causando il rapido surriscaldamento ad oltre 1000 gradi e la fusione di tre reattori con rilascio di isotopi radioattivi nell’aria. Per la tipologia di incidente e i venti verso l’oceano, gli effetti sono stati decisamente meno gravi rispetto a Chernobyl, con solo una piccola parte di territorio contaminata, nessun decesso immediato ed una stima di circa 2300 vittime negli anni successivi, per lo più tra persone fragili e anziane, rispetto ai 19.000 morti causati dal terremoto e dallo tsunami.

Nonostante il ritorno ad una normalità apparente, la necessità di raffreddare i reattori danneggiati non si è mai fermata, portando nel tempo all’accumulo di oltre 1.3 milioni di tonnellate di acqua radioattiva mantenute all’interno di 1000 container di acciaio. Difficile immaginare che questo stoccaggio potesse andare avanti all’infinito, tanto che l’eventualità di un rilascio nell’oceano era già stata considerata plausibile nel 2013 e ripresa con forza nel 2019 e nel 2021. Lo scarico avverrà gradualmente, attraverso un tubo che sbocca ad 1 km dalla costa, e verrà completato nell’arco di 30 anni. La TEPCO, azienda che gestisce la centrale nucleare, ha sottoposto l’acqua ad una speciale filtrazione che rimuove quasi tutti gli elementi radioattivi con l’eccezione del trizio, un isotopo troppo simile all’idrogeno per poter essere filtrato. La TEPCO ha anche annunciato che l’acqua rilasciata avrà una radioattività sempre inferiore a 1.500 Becquerel (Bq)/L, ben al di sotto dello standard di sicurezza nazionale di 60.000 Bq/L, assicurando controlli nelle acque. L’Agenzia per la pesca del Giappone monitorerà la radioattività nei pesci catturati entro 10 chilometri dalla centrale, ma personalmente dubito che queste analisi rileveranno variazioni significative nei livelli di trizio o nello stato di salute degli organismi.

L’acqua degli oceani, così come tutto ciò che ci circonda, ha un livello basale di radioattività, ed ogni giorno mangiamo e beviamo atomi radioattivi senza saperlo né preoccupandocene: ad esempio 10 Bq sono generalmente contenuti in un litro di acqua di mare, 80 Bq in un litro di latte, fino a 1.000 Bq in un litro d’acqua potabile, ed un individuo di 70 Kg può avere 7.000 Bq (100 Bq/Kg).

Il contenuto totale di trizio nelle acque di Fukushima è quantitativamente irrilevante rispetto a quello già presente nel Pacifico, e la gradualità del suo rilascio, oltre alla sua diluizione per le forti correnti oceaniche, fanno immaginare che l’impatto risulterà molto limitato: oltre a ciò, il trizio riduce la sua radioattività del 50% ogni circa 12 anni. Come tutti gli elementi radioattivi, il trizio può essere tossico attraverso danni diretti ed immediati, che però si manifestano ad alte dosi di esposizione, e che pertanto sono da escludersi in questo scenario. Gli effetti a lungo termine, quelli causati da mutazioni al DNA, non si possono escludere ma, visti i livelli, sono assai meno probabili rispetto a quelli indotti da altri inquinanti già presenti in quest’area.

Certamente lo sversamento dell’acqua di Fukushima nell’oceano è un gesto che non piace a nessuno e va contro quei principi di rispetto del pianeta che tutti dovremmo avere ma, dati alla mano, probabilmente non avrà conseguenze ambientali rilevanti. Come sempre capita quando si parla di nucleare, si dibatte animatamente perdendo spesso di vista aspetti sostanziali. Oggi ci si indigna per Fukushima, ma non per il rilascio di acqua triziata che, anche a livelli superiori, è una procedura standard di numerose centrali nucleari, come in Cina e Corea del Sud che hanno paradossalmente criticato il Giappone. Ci si preoccupa del trizio, il meno tossico e l’unico isotopo a non essere stato rimosso dall’acqua, ma non ci si chiede che fine abbiano fatto gli altri elementi, come cesio e stronzio, che sono stati concentrati in fanghi altamente radioattivi.

E ancora più preoccupante sarà recuperare il combustibile nucleare inutilizzato, il materiale fuso e i detriti radioattivi dei quali si ignorano le quantità e persino l’esatta localizzazione all’interno dell’impianto dove le radiazioni sono ancora così elevate da danneggiare anche i robot utilizzati per le ispezioni: finché questo materiale non sarà stato rimosso, sarà necessario continuare a raffreddarlo con produzione di altra acqua radioattiva. Secondo le stime della TEPCO lo smantellamento dell’impianto richiederà da 30 a 40 anni (!) e costerà dai 70 ai 150 miliardi di euro.

Se dunque gli allarmismi sullo smaltimento in mare dell’acqua di Fukushima non sono a mio avviso giustificati, è necessario però riflettere su quanto sarà complesso, pericoloso e costoso rimuovere e custodire in sicurezza tutte le scorie nucleari di questo e degli altri impianti in fase di dismissione nel mondo. Ricordiamoci le recenti preoccupazioni a Chernobyl dove, a quasi 40 anni di distanza dall’incidente, gli ispettori dell’AIEA sono dovuti correre per verificare possibili nuovi rilasci radioattivi causati dall’occupazione russa. In questo periodo in cui si torna a parlare di nucleare “sostenibile” (magari ne discuteremo un’altra volta), facciamo tesoro delle esperienze del passato per riflettere con serietà su un tema così delicato, senza pregiudizi ma anche senza semplificazioni eccessive o slogan propagandistici. 

* irettore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente

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