Imprese, ora dimensioni più grandi e puntare i settori ad alta tecnologia

Imprese, ora dimensioni più grandi e puntare i settori ad alta tecnologia

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 14 Giugno 2023, 06:20

La Relazione Annuale della Banca d’Italia, presentata a fine maggio, offre come di consueto un quadro estremamente ricco di approfondimenti sui diversi aspetti dell’economia italiana. Lo sforzo di analisi compiuto dai ricercatori della Banca d’Italia è particolarmente rilevante dato il momento di grande incertezza che caratterizza il contesto economico nazionale e internazionale. Se consideriamo l’andamento dell’economia italiana nel lungo periodo il quadro non è certo favorevole. Negli ultimi venticinque anni il prodotto per ora lavorata (produttività) è cresciuto dello 0,3 per cento all’anno, meno di un terzo della media degli altri paesi dell’area Euro. Nello stesso periodo l’industria nazionale ha subito una significativa contrazione nel valore aggiunto, nell’occupazione e nel numero delle imprese. Questo andamento negativo è stato innescato da una serie di shock esogeni ma è soprattutto il risultato delle debolezze strutturali accumulate in decenni. A fronte di un quadro strutturale che rimane poco incoraggiante, nel periodo post-pandemia il sistema produttivo italiano ha mostrato una inaspettata capacità di reazione, testimoniata anche dalle ottime performance delle esportazioni. Ciò ha consentito un ritorno ai livelli pre-covid più rapido di quanto inizialmente previsto ed una dinamica del Pil superiore alla media dell’area Euro. Una posizione del tutto inusuale per il nostro paese, abituato da decenni ad essere fanalino di coda per tassi di crescita del Pil. La capacità di resilienza e di crescita dimostrata nell’ultimo biennio dal sistema delle imprese, in particolare quelle industriali, dipende anche dal fatto che nel decennio precedente vi era stato un significativo processo di selezione, che aveva determinato l’uscita dal mercato delle imprese più deboli. Quelle rimaste hanno affrontato le ultime crisi partendo da una situazione finanziaria ed economica solida, caratterizzata da buona redditività e da bassi livelli di indebitamento. Ciò ha consentito alle imprese di assorbire lo shock della pandemia e di reagire con prontezza al riaprirsi delle opportunità di mercato. In questo contesto di luci e ombre la questione fondamentale è quanto di questo andamento congiunturale favorevole può essere attribuito ad un effettivo recupero di vivacità del sistema e quanto alle consistenti iniezioni di sostegni pubblici che hanno caratterizzato l’ultimo biennio. Tenuto conto che questa situazione di ‘permissività’ delle politiche di bilancio non è destinata a durare. E tenuto conto che sul futuro a medio termine incombono le conseguenze negative di quello che l’Istat definisce l’inverno demografico. La Relazione Annuale e le Considerazioni finali del Governatore Ignazio Visco dedicano ampio spazio alle conseguenze economiche dell’evoluzione demografica. Negli ultimi tre anni il numero di persone in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è diminuito di quasi 800mila unità e le tensioni sul mercato del lavoro sono già evidenti, come di frequente documentato anche da questo giornale. Nel prossimo decennio la contrazione andrà accelerando. Entro il 2040 è prevista una contrazione delle persone in età da lavoro di oltre 6 milioni. Anche se si riuscisse, grazie ai progetti del Pnrr, ad aumentare i tassi di occupazione dei giovani e delle donne (portandoli vicini alla media europea) la compensazione sarebbe parziale. Se si mantenessero gli attuali livelli di produttività (cioè del prodotto pro-capite) ciò determinerebbe una significativa contrazione del Pil. Per questo è assolutamente necessario concentrare l’attenzione non solo sulle misure in grado di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro ma soprattutto su quelle in grado di aumentare la produttività del lavoro. In questo caso le ricette vanno in una direzione che trova al momento poco consenso nel nostro paese: si tratterebbe, infatti, di favorire in modo deciso la crescita dimensionale delle imprese e la diversificazione verso settori ad alta tecnologia. Prevalgono, invece, politiche industriali volte a salvaguardare l’esistente. Si tratta di una scelta del tutto legittima e che sembra pagare nel breve periodo ma che potrebbe rivelarsi disastrosa nel medio termine.

* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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