Samanta uccisa e murata in cantina
confermata pena a 25 anni di carcere

Samanta Fava
Samanta Fava
di Vincenzo Caramadre
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Giovedì 25 Maggio 2017, 15:49 - Ultimo aggiornamento: 17:04
FROSINONE - Tonino Cianfarani ha ucciso Samanta Fava e poi ha occultato, murandolo nella cantina che aveva in uso, il suo corpo. Alle 18.37 di ieri i giudici della Corte di Cassazione, dopo quattro ore di camera di consiglio, hanno confermato la condanna a 25 anni di carcere emessa dalla corte d’assise del Tribunale di Cassino il 24 novembre 2014 e avallata dal corte d’assise d’appello di Roma il 16 gennaio 2016. Scritta, dunque, la parola fine su uno dei delitti più efferati della provincia di Frosinone.

Tonino Cianfarani, agli arresti domiciliari da un anno per questioni di salute, tramite il suo legale di fiducia, l’avvocato Ezio Tatangelo, si era rivolto ai supremi giudici per l’annullamento della sentenza a 25 anni. Una decina i motivi illustrati nell’arringa dell’avvocato Tatangelo, il più importante, tuttavia, è stata la richiesta di perizia medico- legale per accertare le cause di morte della 37enne di Sora, scomparsa, misteriosamente, il 3 aprile 2012 e trovata murata in una cantina di Fontechiari il 19 giugno del 2013.
I supremi giudici, tuttavia, hanno rigettato tutti i motivi di riforma e annullamento della sentenza e confermato l’impianto della sentenza a 25 anni di carcere, definitivamente.
“ Samanta – ha detto l’avvocato Eduardo Rotondi in rappresentanza della pare civile  - non la ridarà nessuno alla famiglia, ma oggi, è stata scritta, con chiarezza, una sentenza, definitiva, di colpevolezza nei confronti di Tonino Cianfarani”.
Sulla scia anche le altre parti civile rappresentate dagli avvocati Marco Bartolomucci e Tania Rea. “Giustizia per Samanta è stata fatta”, hanno detto.
Una storia lunga cinque anni, Samanta Fava, infatti, scomparve nel nulla il 3 aprile 2012, per oltre un anno le indagini della polizia, coordinate dal Pubblico Ministero della Procura di Cassino, il dottor Alfredo Mattei, rimasero impantanate nei silenzi, ma nella primavera dell’anno dopo, esattamente il 10 maggio 2013, gli agenti del commissariato di Sora, strinsero il cerchio attorno a Tonino Cianfarani, un muratore della zona di Sora ultima persona ad aver visto Samanta in vita. Fu messo sotto torchio dalla polizia giudiziaria e alla fine confessò di aver occultato il corpo di Samanta, ma non di averla uccisa.
“Samanta – raccontò agli investigatori – è morta per un malore e l’ho gettata nel fiume Liri a Sora”. Ma il Pm Mattei non fu convinto dalla versione e agli agenti ordinò di allargare il tiro e analizzare la vita, le abitudini e i luoghi in cui Tonino Cianfarani viveva.
La svolta arrivò poche settimana dopo: il 19 giugno 2013 la polizia fece irruzione nell’abitazione di Fontechiari che Cianfarani aveva in uso, nelle mura domestiche non trovò nulla, per cui le attenzioni si concentrano su una cantina e dopo accurate ricerche con un georadar e un cane molecolare fu trovato murato il corpo della donna. Tonino Cianfarani venne arrestato al ritorno dalla trasferta lavorativa. “E’ stato un omicidio d’impeto”, sostenne il Pm Mattei, per cui arrivò, in primo e in secondo grado, la condannato a 25 anni. Ieri è stata confermata dalla Corte di Cassazione: Tonino Cianfarani è l’assassino di Samanta Fava.
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