Immigrato in fuga dal centro profughi
minaccia di sparare sulla folla

Immigrato in fuga dal centro profughi minaccia di sparare sulla folla
di Giuseppe Crimaldi
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Sabato 30 Luglio 2016, 09:47 - Ultimo aggiornamento: 11:37
NAPOLI - Dalla Sicilia a Napoli, rincorrendo i fantasmi che lo perseguitavano. Difficile capire che cosa abbia spinto Esefo Glory, 35enne nato a Kwamba, una delle tante favelas alle porte della capitale Abuja, ma anche uno dei tanti luoghi perduti del mondo nel quale le lacrime e la sofferenza non fanno notizia. Questo ragazzone alto quasi due metri che si è reso protagonista di un gesto di follia che ha subito fatto pensare all'ennesimo attentato terroristico in nome di Allah in poche ore dopo il tentativo di sparare all'impazzata sui passanti e sui poliziotti si è rivelato nella sua fragilità di uomo. Poi si è anche scoperto che è di fede cattolica, e che dietro quell'irresponsabile gesto di disarmare una guardia giurata, impugnando la sua pistola che nemmeno è riuscito a far sparare c'era poi solo un fondo torbido di rabbia, depressione e disperazione.


 
Li chiamano «gli invisibili». Sono le falangi di immigrati africani, afghani, pakistani, bengalesi, irakeni, siriani, maghrebini che sognano l'America cercandola in Italia. L'Italia come un «passaggio»: un transito verso il Centro e il Nord Europa, le vere mete ambite da chi fugge da guerra, carestie, persecuzioni e disperazione.
Ma questo non può bastare ad assolvere e a liquidare questa vicenda - e solo la fortuna che ci ha messo la mano ha fatto sì che ieri a Napoli non si consumasse una nuova strage di innocenti - facendola passare per un «caso». Esefo era sbarcato in Italia, sulle sponde dell'Agrigentino, nella primavera inoltrata del 2014. Il barcone sul quale viaggiava, partito dalla Libia, era stato intercettato da una nave della Marina Militare italiana tra Siracusa e Avola, in acque già italiane. Da allora per lui, come per tutti gli altri suoi compagni di viaggio, era iniziata la trafila burocratica che prevede le visite mediche, l'identificazione, il rilascio delle impronte digitali e - infine - l'applicazione in una struttura dedicata all'accoglienza. In un Centro per richiedenti asilo.



Da quella struttura sei giorni fa Esefo Glory è scomparso. Non era la prima volta che accadeva, ma la sua assenza è stata diligentemente segnalata alle autorità di polizia. «Una situazione - spiega al «Mattino» uno degli investigatori che si occupano di migranti e che indagano anche sui rischi di infiltrazioni terroristiche nel nostro Paese proprio attraverso i flussi migratori - che purtroppo si ripete spesso. Succede infatti molte volte che gli immigrati in attesa del permesso di soggiorno o del rilascio del visto riconosciuto per concessione dell'asilo politico si assentino o non tornino nei centri di accoglienza. In tanti finiscono nella rete del caporalato che li sfrutta per il lavoro nero nelle campagne, molti altri cercano vie di fuga verso la Germania e il Nord Europa, o almeno ci provano».



Ma le falle in un sistema che prevede la concessione a chi chiede il diritto d'asilo per motivi politici ci sono e restano evidenti. Normalmente chi fa richiesta attende la risposta prima di regolarsi: se è positiva non si muove; in caso contrario scappa. Fugge quasi sempre senza meta. Verso destinazioni improbabili. Ed è questo il caso del nigeriano arrestato ieri a Napoli. Quando si torna nel gorgo della «clandestinità» si accetta anche di lasciarsi inghiottire in una specie di buco nero che trascina giù verso abissi imprevedibili.

Ricostruire le ore che intercorrono tra la fuga di Esefo Glory da Favara, in provincia di Agrigento, a Napoli non è facile. Il nigeriano non ha collaborato con gli investigatori del commissariato Vasto e tantomeno con quelli della Digos, dopo l'arresto. Tuttavia le tappe e le scansioni dei suoi movimenti possono in qualche modo essere ricostruite grazie ad alcune testimonianze: i racconti di chi aveva notato quell'africano aggirarsi tra piazza Garibaldi, il Vasto e poi il Centro direzionale, dove ieri mattina ha tentato di fare una strage di innocenti.

L'extracomunitario ha con ogni probabilità preso un treno dalla stazione di Palermo. Un treno diretto a Roma Termini. Però, e non si sa bene il motivo, poi ha scelto di scendere a Napoli, dove probabilmente credeva di incontrare qualche connazionale che nel capoluogo partenopeo lo aveva preceduto. Comincia così, martedì notte, il viaggio verso il nulla di Esefo. Senza bagaglio, senza vestiti né panni di ricambio. Ha la mente sconvolta: a metà giugno dalla Prefettura gli è stato comunicato il repspingimento della domanda di asilo politico, una circostanza che lo ha sconvolto e trascinato in uno stato di profonda frustrazione. I cinque euro che gli venivano passati nella struttura di accoglienza - insieme con i pasti e l'alloggio - rischiano di svanire, e sa che presto qualcuno in divisa verrà a riprenderlo per caricarlo su un autobus che lo porterà in un aeroporto siciliano per il rimpatrio.

E allora? Allora meglio partire. Senza meta e senza speranza. Ma una volta a Napoli si accorge che anche quei consigli, e con essi le speranze legate alla ricerca di qualche amico o connazionale che prima di lui ha tentato di giocarsi la carta dell'avventura è di fatto solo un sogno. Vaga lungo il reticolo di strade intorno a piazza Garibaldi. Con quei pochi spicci compra delle birre, e forse si ubriaca al punto da molestare alcuni passanti, al punto da essere segnalato: la circostanza viene smentita al «Mattino» dalle forze dell'ordine, ma pure trova conferma in alcuni testimoni oculari.
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