Terremoto, gli eredi di Lepanto
miracolati grazie alla Festa Bella

La nave della festa bella a Spelonga
La nave della festa bella a Spelonga
di Lorenzo Sconocchini
5 Minuti di Lettura
Venerdì 2 Settembre 2016, 15:44 - Ultimo aggiornamento: 3 Settembre, 06:55

ARQUATA DEL TRONTO - All’alba dell’apocalisse, quando Pescara del Tronto era un cratere da cui salivano i lamenti dei sepolti vivi e si tiravano fuori decine di morti, per le vie del borgo medievale più colpito dal terremoto vagavano smarriti ragazzi con magliette nere imbiancate dalla calce. Sotto la polvere, appiccicata alle loro t-shirt mentre i giovani del villaggio fantasma scavavano per cercare un familiare o un amico, si leggeva la scritta “Festa Bella di Spelonga”, una sagra popolare che a molti di loro aveva salvato la vita.

Alle 3 e 36 di quel mercoledì, quando il mostro delle rocce ha spostato le montagne facendo scivolare di dieci centimetri uno dei versanti del monte Vettore, tanti ragazzi di Pescara e Arquata del Tronto erano andati a ballare a Spelonga, frazione a 946 metri d’altezza, nel Parco del Gran Sasso e monti della Laga.

In questa pieve d’Appennino, 241 abitanti che d’estate si moltiplicano per l’arrivo di villeggianti soprattutto dal Lazio, ogni tre anni si celebra la “Festa Bella” per ricordare la battaglia di Lepanto del 1571 e i 150 spelongani che partirono per le Crociate e tornarono con una bandiera ottomana che ancora oggi viene custodita nella chiesa di Sant’Agata, chiusa perché pericolante. E ancora ieri, nella piazzetta davanti alla chiesa, se ne stava placida come una caravella spiaggiata la nave costruita dagli spelongani di oggi per la “Festa Bella”, e il drappo rosso, copia del vessillo strappato agli infedeli, svettava sull’albero maestro di 33 metri realizzato con un tronco abbattuto a colpi di scure dai taglialegna locali nel bosco del Farneto, sui monti della Laga.

La “Festa Bella 2016”, iniziata il 31 luglio proprio con il taglio dell’albero, aveva appuntamenti in calendario fino al 4 settembre, ma s’è interrotta la notte della catastrofe. Poco prima della mezzanotte del 23 agosto, come da programma, era iniziata la serata musicale all’aperto, con stand gastronomici e amplificatori che avevano trasformato il borgo di Spelonga in una discoteca all’aperto con deejay Faustino. 

«Qui c’erano tanti ragazzi arrivati da Pescara del Tronto, almeno 50, e anche da Capodacqua - racconta Dario Di Vittori, che era lassù la notte della grande scossa -. Qui le case non sono crollate, anche se sono quasi tutte danneggiate e non ci si può entrare, se quei 50 ragazzi fossero stati nelle loro abitazioni di Pescara, invece che a ballare fino a notte fonda, forse il bilancio delle vittime sarebbe ancora più pesante. Io stesso, che abito ad Arquata, ho avuto la casa danneggiata, le pareti della stanza da letto sono crollate e per fortuna ero qui». Adesso Spelonga spera che fra tre anni la “Festa Bella” torni in questo villaggio disastrato, che non ha avuto vittime, ma per il momento non ha un solo tetto buono per i suoi residenti. 

L’ordinanza del sindaco di Arquata del Tronto vieta su tutto il territorio comunale di entrare nelle case, ma molti spelongani non si vogliono trasferire nel piccolo villaggio di tela che è stato allestito scendendo a valle, una manciata di tende blu cobalto. Quassù come a Faeta, Colle, Piedilama, Pretare, ci sono famiglie che preferiscono restare vicino a casa, magari dormendo in auto. Tutti i giorni, anche di notte, salgono da Arquata le camionette della Forestale a chiedere se serve qualcosa, ad assistere questo popolo colpito a tradimento in una notte di festa.

Molti continuano a spaccare la legna e accatastare al sole scorte di faggio e cerro buone per i camini, quando l’inverno verrà, sperando che sia un focolare a scaldare le sere e non la stufetta accesa in una tenda o nelle casette in legno prefabbricate. Ci sono gli animali da cortile da nutrire, gli allevamenti di bovini, le capre che ieri mattina scampanellavano tra i vicoli quasi deserti di Spelonga. 

Le capre sono quasi animali sacri a Pretare, il paese delle Fate, che ogni tre anni ad agosto offre ai visitatori uno spaccato della sua storia, proponendo un musical medievale basato sulla leggenda della discesa delle fate. Le ancelle della Sibilla, che secondo la leggenda erano capre sotto le sembianze di splendide fanciulle, torneranno a ballare nel paese delle Fate, liberate dall’incantesimo dal Guerrin Meschino. Non vogliono neanche immaginare di rinunciare alle loro tradizioni i pretaresi del comitato che organizzano la rievocazione triennale, l’ultima nel 2015, e che ogni anno, anche il 12 agosto scorso, propone ai residenti e ai turisti la Cena delle Fate, con lenticchia, crispelle, canti e balli rievocativi della leggenda. 

Adesso sessanta di loro, più o meno la metà dei residenti stabili, sono radunati nella tendopoli allestita dalla Croce Rossa. «Noi non molliamo - assicura Maria Francesca Piermarini, del comitato organizzatore -, anche se adesso non siamo in grado di dire se riusciremo a tenere l’edizione 2018 della festa nella nostra frazione.

I danni purtroppo sono gravi e diffusi, ci sono case pericolanti che bloccano la strada per Montegallo e qui la terra trema di continuo. Ma il ballo delle fate fa parte della nostra storia, possiamo perdere tutto, ma non la nostra anima».

© RIPRODUZIONE RISERVATA