Ascoli, sfruttavano giovani nigeriane
A giudidizio cinque connazionali

I faldoni di un processo vengono portati in aula
I faldoni di un processo vengono portati in aula
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Venerdì 1 Aprile 2016, 09:44
ASCOLI - Il 6 aprile prossimo, davanti allla corte d’appello di Palermo, si celebrerà il processo che vede imputati per associazione a delinquere al fine di indurre e favorire lo sfruttamento della prostituzione e l’immigrazione clandestina di diverse ragazze provenienti dalla Nigeria, cinque cittadini nigeriani.
Tra questi F. E., 44 anni, residente a Castel di Lama, assistito dall’avvocato Simone Matraxia, il quale in primo grado ha ricevuto, per gli stessi reati, dal tribunale di Agrigento, una condanna a tre anni ed otto mesi. Il pubblico ministero, al termine della sua arringa, aveva chiesto la condanna a 5 anni e 3 mila euro di multa.

Per l'accusa l’associazione criminale, composta da cinque elementi, tutti di nazionalità nigeriana, organizzava nel corso di un anno almeno due viaggi nel paese africano, anticipando le spese di trasporto fino alla Libia e successivamente in Italia, per reclutare ragazze nigeriane che poi, una volta giunte sul nostro territorio, sarebbero state avviate alla prostituzione su strada nella provincia di Ravenna.

F. E., sfruttando la sua qualità d’interprete ed i suoi contatti con gli operatori della struttura di accoglienza “Centro Madre Maria” di Appignano del Tronto, procurava la fuga di una giovane connazionale. La ragazza veniva condotta in un appartamento, ubicato in frazione Mezzano di Ravenna, in uso a due complici facenti parte del sodalizio criminale.

Alla ragazza, seppur contro la sua volontà, venivano date indicazioni su come comportarsi con i clienti, sulle prestazioni sessuali  e sulla somma da chiedere  per la prestazione.

Per i cinque nigeriani l’attività criminale che svolgevano garantiva loro un rilevante business. Le ragazze venivano reclutate in Nigeria e trasferire prima nello steso africano del Niger e successivamente in Libia dove attendevano di essere imbarcata clandestinamente su una nave diretta nel porto di Lampedusa.

Gli scafisti chiedevano per ognuna di loro compensi che variavano dai 20 ai 30 mila euro, somme che poi sarebbero state scalate dai loro aguzzini sugli incassi che ottenevano giornalmente dall’attività di prostituzione cui venivano avviate lungole strade della periferia ravennate.
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