Omicidio Vitaletti, Dimasi confessa
«Ma mi sono difeso, m'ha aggredito»

Omicidio Vitaletti, Dimasi confessa «Ma mi sono difeso, m'ha aggredito»
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Martedì 31 Gennaio 2017, 13:07 - Ultimo aggiornamento: 19:15

SASSOFERRATO Ha confessato l’omicidio, ma del resto non poteva negare l’evidenza. L’avevano visto scappare tutto insanguinato dal parcheggio tra il Bar Sport e il distributore, mentre il professor Alessandro Vitaletti barcollava trafitto da 23 coltellate prima di crollare su un’aiuola spartitraffico.

«È stato Nello, il muratore calabrese», volava il passaparola prima ancora che in via Buozzi arrivassero le ambulanze del 118 e i carabinieri. Ma davanti al pm che l’ha fatto arrestare, dopo neanche 24 ore di latitanza a corto raggio, entro i sette chilometri che dal Pincetto portano al piccolo borgo montano di Perticano, Sebastiano “Nello” Dimasi ha tentato l’unica piroetta utile per guadagnarsi almeno qualche attenuante, come quella della provocazione, se non addirittura invocare la legittima difesa. «È stato lui ad aggredirmi, ero ferito e ho cercato di fermarlo», è stata la versione consegnata da Dimasi nell’interrogatorio concluso domenica sera alle 23 nella caserma dei carabinieri di Sassoferrato, davanti al sostituto procuratore Serena Bizzarri, che già nella notte di sabato aveva firmato un decreto di fermo per il reato di omicidio volontario. E se il movente è ormai chiaro - Dimasi non tollerava che Vitaletti avesse una relazione con l’ex moglie da cui s’era separato a settembre - la sequenza ancora sfocata dell’agguato offre margini per una difesa tecnica.

Nel pomeriggio di sabato, prima del sanguinoso incontro tra i due “rivali”, c’era stato un crescendo di tensione. Prima l’artigiano edile calabrese avrebbe tentato di prendere i bambini all’uscita dal catechismo, nella parrocchia di San Facondino, e quando il parroco gli ha detto che erano già tornati a casa con la mamma (come da accordi tra ex coniugi) Nello Dimasi sarebbe corso nell’abitazione dove la ex e i due figli minorenni, dopo la separazione, sono andati ad abitare al “Pincetto”, a 200 metri dal Bar Sport. Chiedeva di vedere i bambini, ma la donna, che già il 20 gennaio aveva denunciato Dimasi per minacce, non aveva aperto, chiamando al telefono la sorella.
Dimasi urlava, prendeva a calci il portone, a un certo punto la zia dei bambini voleva chiamare i carabinieri, ma poi le due sorelle hanno pensato di non chiedere aiuto al 112, magari per non impressionare i bambini. Tanto più che Dimasi dopo un po’ se ne era andato, diretto verso il Bar Sport. Mancavano dieci minuti alle 17 e di lì a poco sarebbe arrivato nel piazzale il professore. Un incontro - forse casuale, forse no - finito con il morto. 

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