Videogame come una droga
ragazzini prigionieri del web

Videogame come una droga ragazzini prigionieri del web
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Martedì 2 Ottobre 2018, 07:05
ANCONA - È la generazione dei Millennial, quelli che si abbronzano con l’Iphone - come recitava una hit estiva - e restano incollati ore e ore davanti a uno schermo e a una console. Non ci sarebbe niente di male se poi il gioco non diventasse patologico, se non si abbandonassero scuola e amici per rifugiarsi in un mondo astratto, fatto di emoticon, effetti speciali e notti insonni. Quando si supera il limite e la fantasia prende il sopravvento sulla vita vera, sono guai. Genitori si disperano perché non riescono a tenere sotto controllo figli “nerd”, per i quali i videogames rappresentano non un hobby, ma una dannosissima ragione esistenziale.

 

Il Dipartimento delle Dipendenze di Ancona, diretto dal dottor Rodolfo Rabboni in corso Stamira 40 (tel. 0718705981) ha una sezione specifica dedicata al gioco patologico, che comprende tutta la sfera dell’addiction da internet: non solo il gioco d’azzardo (gambling), ma anche i social network, la ricerca ossessiva di informazioni, il sesso virtuale e i Mud (Multi user dungeon), categoria di videogiochi di ruolo che richiedono una connessione in rete, senza trascurare i Fps (First person shooting), cioè giochi “sparatutto” in prima persona, i Moba, che prevedono il raggiungimento di obiettivi comuni in squadre e le “battle royal”, combattimenti globali. Sì, i giochi di guerra vanno fortissimo. C’è chi se ne appassiona al punto da ammalarsi, come un ragazzino anconetano di 16 anni che è arrivato a lasciare la scuola, lo sport e gli amici (quelli tangibili) per dedicarsi anima e corpo al suo videogame preferito. Oggi è in cura presso il Servizio per le dipendenze. 

Passava notti intere a giocare in rete, urlando comandi al microfono e impedendo ai familiari di dormire. «Nonostante i genitori gli avessero intimato di smettere - spiega il dottor Rabboni -, lui aveva continuato imperterrito, costringendo il fratello ad andare a dormire dalla nonna e il padre nel divano della sala. E non è finita qui: a un certo punto, desideroso di avere uno schermo più grande per i suoi giochi, nonostante la costosa strumentazione che gli era stata regalata, ha deciso di usare il nuovo televisore della famiglia, lasciando di fatto mamma, papà e fratello senza». In cura c’è un altro ragazzo senigalliese di 21 anni, pluriripetente, abituato a fare l’alba per dedicarsi a un gioco di strategia con amici sul web: ha abbandonato la vita sociale e gli studi per concentrarsi sulla sua unica passione. Di situazioni simili, anche se meno gravi, ce ne sono a centinaia: in pochi, però, arrivano a chiedere il sostegno psicologico degli esperti di dipendenze, il più delle volte trascinati dai genitori. Il problema sorge quando l’intelligenza viene soggiogata da impulsi irrefrenabili. E’ il caso, molto recente, di due giovani anconetani, entrambi diciottenni ed esperti di informatica (ma tra loro non si conoscono) che trascorrevano giorni interi a programmare in segreto videogames a luci rosse.

«Il loro atteggiamento, però, era di ben altro tenore - spiega Rabboni -. Erano pieni di sensi di colpa per le loro fantasie, vergognosi del loro comportamento, come se avessero commesso azioni riprovevoli e indicibili. Storie come queste devono essere affrontate con estrema delicatezza perché occorre lavorare, da una parte, con le fantasie dei ragazzi, dall’altra con tutta una serie di giudizi e di accuse che rivolgono a se stessi e che immaginano che anche il terapeuta rivolga loro». Fantasie che a volte si mescolano con la realtà, fino a superarla: il papà di un 35enne anconetano ha chiesto aiuto agli specialisti, preoccupato per le abitudini del figlio che trascorre giornate intere a chattare con persone lontane e partecipa a raduni in costume.
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