ANCONA - Il quartiere, un groviglio di casette scrostate e decadenti, conta 21 edifici e 137 alloggi, ma nessuno sa esattamente quante persone vi abitino. Via Marchetti è l’esempio perfetto di un’integrazione mancata: gli italiani sono una minoranza rispetto agli indiani, i pakistani, i bengalesi, i nordafricani, i rom. Nessuno conosce l’inquilino della porta accanto.
Si esaltano i difetti dei vicini, senza neppure conoscerne il nome. C’è chi abbandona frigoriferi sotto casa, chi butta l’immondizia dalla finestra, chi accatasta legna e rifiuti accanto al marciapiede, nella speranza che qualcuno, un giorno, passi a prenderli.
Il quartierino a metà tra privato (49%) e pubblico (28% del Comune, 23% di Erap) è un melting pot di culture, etnie e religioni diverse. C’è il pensionato anconetano che 30 anni fa ha riscattato la casa popolare oggi quotata (quasi) zero, c’è l’operaio asiatico del cantiere navale, il venditore di agli del mercato, il bancarellaro africano, la casalinga araba circondata da bambini e dall’inconfondibile profumo di zenzero e curcuma. Tra pregiudicati agli arresti domiciliari e famiglie disagiate, c’è anche chi, pur vivendo in questa sorta di baraccopoli, sfreccia con una supercar fiammante. «Sono gli spacciatori», bisbigliano i maligni. D’altronde fin qui si sono allungati i tentacoli della mafia nigeriana, con scantinati trasformati i centrali della droga. E sempre qui nel 2018 fu scoperto un alloggio abusivo di pusher africani: uno venne arrestato anche per violenza sessuale. Descritto il quadro, ora è più facile comprendere come, per gli abitanti del supercondominio di via Marchetti-via Pergolesi, il maxi restyling da 4,9 milioni venga visto come un’utopia.