Il Tribunale di Ancona fa distruggere le armi usate per la strage di Sambucheto

L’autorizzazione della magistratura a 27 anni dalla mattanza in cui morirono tre persone

Il Tribunale di Ancona fa distruggere le armi usate per la strage di Sambucheto
Il Tribunale di Ancona fa distruggere le armi usate per la strage di Sambucheto
di Benedetta Lombo
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Domenica 1 Ottobre 2023, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 14:01

ANCONA - A 27 anni da uno dei fatti di sangue più cruenti avvenuti nella provincia di Macerata , ricordato come la strage di Sambucheto, il Tribunale di Ancona ha autorizzato la distruzione delle armi servite per compiere la mattanza del 6 marzo del 1996. Le armi e le confezioni saranno portate al Cerimant di Padova da personale specializzato dell'Ufficio armi ed esplosivi della divisione amministrativa di Ancona per la rottamazione del materiale. Si tratta di una pistola mitragliatrice croata marca “Ero” e due pistole semiautomatiche, una croata ed una cecoslovacca, entrambi calibro nove parabellum, più varie munizioni. 

Il provvedimento 


Saranno distrutte anche le ogive dei proiettili recuperati in sede di autopsia alle vittime del gravissimo fatto di sangue avvenuto in un casolare di Recanati sul rettilineo di Fontenoce, dove a raffiche di mitra furono uccisi il maceratese 40enne Nazzareno Carducci, sua moglie incinta di otto mesi Giovanna Ascione di 37 anni, e il padre di lei, Giovanni, 64 anni di Acerra. Le indagini della polizia portarono ad individuare molto rapidamente i responsabili: Gianfranco Schiavi, detto “il mastino”, di Porto Recanati ritenuto essere il mandante, il figlio Marco e Salvatore Giovinazzo, gli esecutori materiali della strage. In base a quanto ricostruito dagli inquirenti la famiglia Carducci venne sterminata da Giovinazzo a colpi di mitraglietta, poi Marco Schiavi finì le vittime con un colpo alla nuca. Nel 2010, a quattordici anni da quella mattanza, è arrivata la condanna definitiva. La Corte di Cassazione confermò l'ergastolo per Gianfranco Schiavi, il figlio Marco e per Giovinazzo. 



La posizione 


Durante il processo Gianfranco Schiavi aveva sempre respinto le accuse: «Non avevo alcun motivo di conflitto con la famiglia Carducci-Ascione – aveva detto –, né vi erano altre ragioni che potevano costituire il presupposto per quanto accaduto. È noto che Carducci era mio conoscente. Ritengo che nessuna delle accuse a mio carico sia stata provata, al di là di ogni ragionevole dubbio. Ritengo – aveva poi aggiunto – che il processo risenta inevitabilmente di un condizionamento dovuto alla suggestione e al clamore che i fatti hanno rappresentato per il territorio. Non smetterò mai di sostenere con tutte le mie forze la mia innocenza». Ora, dunque, a 27 anni da quella strage, le armi e le munizioni saranno distrutte, era forse questo l'ultimo scenario rimasto aperto su quella drammatica vicenda che sconvolse la tranquillità di un territorio non abituato a delitti di sangue così cruenti. A fare da sfondo alla strage, aveva motivato il Tribunale di Macerata, una guerra fra clan scaturita per il controllo del territorio. 

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