ANCONA Sarebbe stato un vero e proprio agguato: due contro uno. Botte su botte, alla testa, al collo, alle braccia e sulla schiena con un bastone appuntito, ricavato da un manico di scopa. Il pestaggio era finito solo grazie all’intervento della polizia penitenziaria e degli altri detenuti, tra cui il fratello dell’uomo pestato. I contorni della violenza sfociata il 13 aprile del 2020 (pieno periodo Covid) nel carcere di Barcaglione sono stati ricostruiti ieri nel corso del processo incardinato contro due tunisini, all’epoca reclusi nel penitenziario anconetano.
Le accuse
Per la procura, sarebbero stati loro a colpire con il bastone un rom falconarese di 40 anni, anche lui in quel periodo detenuto a Barcaglione.
La ricostruzione
La violenza era sfociata in una sala comune del carcere, mentre il rom stava conversando con un altro detenuto in una saletta dove erano soliti fumare. All’improvviso - questa la ricostruzione dell’accusa - avevano fatto irruzione i due tunisini. Uno di loro aveva in mano un bastone appuntito, ricavato da un manico di scopa. Con quello, il tunisino di 40 anni si era accanito contro il falconarese, colpendolo soprattutto all’altezza della testa. Il connazionale si sarebbe preoccupato di cacciare dalla stanza il detenuto che, poco prima, stava parlando con il rom aggredito. Proprio quel detenuto era corso ad avvisare il fratello della vittima, il quale era corso nella stanza del pestaggio per cercare di fermare la violenza. «C’era sangue ovunque» ha detto ieri in aula il testimone, l’ormai ex detenuto che aveva chiesto aiuto al fratello del rom pestato.
In maniera tempestiva era intervenuta la polizia penitenziaria, i cui agenti avevano fermato la violenza. Il 40enne picchiato era stato condotto nell’infermeria del carcere e poi al pronto soccorso di Torrette. Gli era stato diagnosticato un trauma cranico guaribile in sette giorni.