ANCONA - Sono passati cinque anni e mezzo dall’omicidio della pittrice 64enne Renata Rapposelli residente ad Ancona commesso dall’ex marito Giuseppe Santoleri e dal figlio Simone nella loro casa a Giulianova. Ieri, la Cassazione ha reso definitive le loro condanne che la corte d’assise d’Appello aveva ridotto a 18 anni per Giuseppe e confermato, invece, a 27 anni per Simone.
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La decisione dei giudici della Suprema Corte, che hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’ex marito della pittrice e rigettato quello del figlio, è arrivata dopo un giorno dalla trattazione scritta.
Una minaccia rivolta alla madre Renata perché, così come ricostruito dai giudici di secondo grado, movente del delitto è stata l’ossessione per il denaro di Simone insieme al rancore che nutriva per la madre e alla sua indole impulsiva e violenta. Un omicidio commesso dal figlio della pittrice, che ha soffocato la mamma il giorno in cui lei è andata a trovarli entrambi a Giulianova in treno, mentre Giuseppe era lì presente e lo ha poi aiutato a spostare il cadavere e a disfarsene gettandolo dalla sommità del fiume Chienti, nelle campagne del maceratese, lungo la scarpata con la speranza che se la mangiassero i cinghiali.
Renata, che da anni risiedeva ad Ancona, in un piccolo appartamento del centro storico, era scomparsa il 9 ottobre del 2017 ed è stata ritrovata cadavere l’11 novembre. Dopo un lavoro avuto in ambito statale, la Rapposelli aveva deciso di dedicarsi alle arti figurative. Ad Ancona, in corso Amendola, aveva aperto una piccola bottega dove dipingere, esporre e vendere i suoi quadri. Nel mondo dell’arte era conosciuta da tutti come “Reny”. Nonostante gli apprezzamenti ricevuti e la menzione delle sue opere in alcuni cataloghi internazionali, il laboratorio aveva dovuto chiudere per qualche problema economico. La pittrice tornò a casa in treno perché era preoccupata per le condizioni di salute del figlio. È finita in trappola.