Covid e rincari, dopo 120 anni chiude il Caffè Gismondi di corso Amendola ad Ancona

Covid e rincari, dopo 120 anni chiude il Caffè Gismondi
Covid e rincari, dopo 120 anni chiude il Caffè Gismondi
di Michele Rocchetti
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Domenica 9 Luglio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 07:45

ANCONA -  Le prime avvisaglie c’erano già state un anno e mezzo fa, ma allora la chiusura era stata temporanea. Ora, invece, siamo davvero arrivati ai titoli di coda. Da almeno una quindicina di giorni le luci dello storico Caffè Gismondi di corso Amendola sono spente e sulla vetrina campeggia il cartello vendesi locale e attività.

Ora la speranza è che qualcuno possa raccogliere il testimone di Nicola Gismondi, ultimo erede di nonno Umberto, che nel 1902 aprì quello che in origine si chiamava Caffè Margherita. «Poi la gestione è passata a mio padre Giorgio con il figlio Giacomo - raccontava qualche tempo fa Gismondi -, quindi a mio fratello Giuseppe.

Quando è andato in pensione, ho deciso di rilevare io la gestione. Era il 2015. Per farlo ho lasciato un altro lavoro. Perché ci credevo veramente».

Il Comune aveva infatti annunciato che entro pochi anni, negli spazi che fino a poco tempo prima avevano ospitato l’ospedale Umberto I, sarebbero stati inaugurati un poliambulatorio e una casa di riposo. Una vera manna dal cielo per il Caffè, che si trova proprio lì, a pochi passi. E invece, a un certo punto, tutto si è fermato. Per poi riprendere, ma con tempi biblici, tanto che ancora le strutture non sono state inaugurate. Le ultime indiscrezioni parlavano di un’apertura dopo l’estate. Ma a questo punto Gismondi non potrà goderne. Del resto le restrizioni legate all’epidemia di Covid, prima, e i costi di energia e materie prime schizzate alla stelle, poi, l’avevano mandato in grossa difficoltà.

«Io non ce la faccio più. Le spese sono tante: luce, acqua, gas, affitti, contributi. E dallo Stato mi sono arrivate solo briciole – diceva nel gennaio 2022 –. Se aprisse in fretta il poliambulatorio, con la guardia medica e la casa di riposo, per me cambierebbe il mondo. Finché c’era l’ospedale, il nostro bar poteva permettersi sei dipendenti». Ora, invece, è uno spazio buio e deserto. Ma chissà che a settembre non possa assurgere a nuova vita.
 

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