Un “traditore” di nome Thiago
Tutto il Brasile contro Motta

Un “traditore” di nome Thiago Tutto il Brasile contro Motta
di Alessandro Angeloni
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Giovedì 19 Giugno 2014, 11:56 - Ultimo aggiornamento: 19:30
dal nostro inviato

MANGARATIBA Io mi sento italiano. Quattro parole, asciutte, chiare, pronunciate in tempi non sospetti, quando non c'era aria di nazionale azzurra, quando dentro di sé prevalevano le origini, non il presente.



E' come se il tuo passato diventasse futuro, o quest'ultimo cercasse se stesso in qualcosa che apparentemente sembra non esistere più.



Thiago Motta l'Italia perché quei colori se li sente addosso e qui lo ripudiano. Fischi nell'amichevole di Volta Redonda e con l'Inghilterra; l'Italia e Balotelli vengono osannati in Brasile, lui no. L'unico. Sarà così anche domani a Recife. E' il destino di chi ha tradito o di chi si pensa l'abbia fatto per interesse. Thiago Motta, la maglia verdeoro l'ha indossata di striscio, quella dell'Under 23 nel 2003. Ma oggi Thiago è un fratello d'Italia di diritto, per discendenza diretta. Senza escamotage. Senza bluff o fogli tarocchi. «E' stata una fortuna avere una famiglia italiana e una volta in Europa non ho mai pensato di tornare in Brasile. Quando ho potuto andare in Italia non ci ho pensato un minuto», orgoglioso, ammette Thiago.



ITALIANO DENTRO

E' nato a São Bernardo do Campo, nello stato di San Paolo, definita in Brasile «la città "italiana" più grande del mondo». Lì tanti italiani distribuiti nel tempo, lì sono nati, non a caso, i 4 brasiliani d'Italia che il nostro calcio ha apprezzato, utilizzato e goduto nelle varie competizioni Mondiali: Guarisi ('34), Sormani e Altafini ('62) e, appunto, Thiago Motta (oggi, 2014). Perché nello stato di San Paolo, anni e anni fa, si veniva per disperazione. E' successo al bisnonno di Thiago, Fortunato Fogagnolo, che verso la fine dell'800 si è trasferito dalle parti di San Paolo, lasciando la piccola Polesella, provincia di Rovigo. A fine '800 l'Italia è disastrata dalla crisi, Polesella passa sotto il Regno d'Italia e perde la sua anima strategica di territorio di confine. Per molti comincia l'esodo verso Messico e, appunto, Sud America. In Brasile, avanza la dinastia dei Fogagnolo, poi si incrocia con i Motta. Carlos Roberto, papà di Thiago, si adopera per far avere al figlio il passaporto italiano e lo porta a Barcellona, dopo che il figlio aveva assaggiato il campo brasiliano della Juventude. Thiago si trasferisce in Catalogna a 17 anni, cresce con Ronaldinho e Messi e poi, quando la sua carriera sta per toccare il capolinea (si rompe entrambe le ginocchia), arrivano (appena dopo la parentesi deprimente all'Atletico) Gasperini e il Genoa, che lo aiutano a resuscitare. In Liguria, Thiago Motta lavora come un contadino italiano della metà dell'800: un allenamento in più degli altri per recuperare. Ottobre 2008, si fa male Milanetto, entra e non esce più. Il resto è storia gloriosa: Inter, Psg e in mezzo la Nazionale azzurra.



BORGES È L'ALTRO THIAGO

Thiago Motta si sposa bene con questo tiqui taca azzurro. Poi lui viene dal Barça e ne sa. Domani davanti a sè avrà il costaricano Celso Borges, di origini brasiliane, figlio di Alexandre Guimarães, ex ct della Costa Rica ai mondiali 2002 e 2006, decisivo da calciatore nel passaggio agli ottavi della Costa Rica a Italia '90. Due storie simili, che si intrecciano: Borges e Thiago, i gemelli diversi. «Se devo giocare, sono pronto. Aspetto il mio momento», la speranza di Thiago, che lasciando la sala stampa si è fatto una foto con un bambino brasiliano. «Ma perché non giochi con noi?», gli ha chiesto il pupo. Thiago lotta contro i fischi. «Mi sento un italiano nato in Brasile e provo piacere a giocare per i colori azzurri. Sono felice, non penso a chi mi contesta. La Costa Rica? Sarà dura, è una squadra abituata a giocare a certe temperature. Non sarà facile, ma possiamo arrivare lontano. I time out? Sono fondamentali. Per la salute dei calciatori e per lo spettacolo. Il mio futuro? Sto bene a Parigi ma in Italia potrei tornare». Italia, sempre dolce.
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