L’arte minima di Zavattini: 152 micro autoritratti dei più grandi pittori del Novecento esposti a Brera

Cesare Zavattini (archivio Il Messaggero)
Cesare Zavattini (archivio Il Messaggero)
di Fabio Isman
3 Minuti di Lettura
Lunedì 3 Giugno 2013, 15:40 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 17:27
ROMA - Mai forse una mostra ha racchiuso altrettante curiosit e storie, spesso affascinanti. Intanto, l’avventura di chi ha commissionato i 152 quadri esposti per la prima volta tutti assieme: Cesare Zavattini (1902 - 1989), una inesauribile figura di scrittore, sceneggiatore, poeta, pittore, chi pi ne ha pi ne metta; l’autore preferito dei film di Vittorio De Sica e infiniti altri cineasti neorealisti. Poi, quelle dei dipinti che sono allineati a Brera: tutti autoritratti di pittori, quasi sempre italiani, famosi nel secolo ormai scorso; ma di misura minima, che stanno in mano: solo 10 x 8 centimetri. Infine, la stessa storia dell’acquisizione di queste opere: stavano andando in asta nel 2008, e lo Stato li ha comperati, per poi restaurarli, ricollocarli nelle cornici originali, e ora mostrarceli (A tutti i pittori ho chiesto l’autoritratto, Zavattini e i Maestri del Novecento: a cura di Marina Gargiulo, alla Pinacoteca di Brera a Milano fino all’8 settembre, cat. Skira). Questa arte minima (non minimal); eppure, a volte, grandissima.



IN UNA CAMERA

Per Zavattini, la pittura è folgorazione. Nel 1938 comincia a dipingere, lo racconta egli stesso; ma fin da sette anni, aveva già domandato «un disegno su un pezzo di carta» a un artista: era Arturo Martini. Stava ancora a Milano; appena nel 1940, trasferitosi a Roma, inizia a collezionare per la sua casa di via Sant’Angela Merici. Formato minimo, perché la tasca non può permettere altro: «Meno di una cartolina». L’idea scatta con un bozzetto, poco più di 5 x 6,5 cm, di Massimo Campigli, donatogli quando lascia il Nord; e da due schizzi di Aligi Sassu su un pacchetto di sigarette. E sono subito gli Autoritratti: «Scrissi trenta lettere ai miei amici, cominciando da Carlo Carrà; e finii con l’andare a letto all’alba».



Diventa importante, e può permetterselo: chiede a tanti due quadretti, e detta le misure massime. Lo spazio minimo, in molti, suona come una sfida. In 40 anni, raduna 1.500 opere: paesini, oggetti, astratti; e tanti autoritratti. «Una collezione unica», spiegherà: «Tutta la pittura italiana contemporanea in una camera». È perfino democratica: costa poco, e tanti possono concedersela. Nel 1951, a Trieste, lo imiterà Leopoldo Kostoris, creando un premio per questo, che in tre anni accumulerà 212 piccoli formati, ora della figlia Fiorella ed esposti non troppo tempo fa nella sua città, al Museo Revoltella. Ma mancano quasi del tutto gli Autoritratti.



TANTE STORIE

Quando Zavattini deve liberarsi della collezione è come un dramma: «Non ho più i quadretti; il dolore è stato forte, ma ci si abitua; non ho mai parlato dei guai economici in mezzo ai quali sono passato», scrive nel 1979. Andranno dispersi in varie sedi. Ma gli Autoritratti, no. A volte donati, o pagati ma poco, 10 mila lire. Letterine accattivanti per tutti. Carrà: «Te lo regalo in segno di stima e amicizia», come De Pisis; Melotti ironizza’«all’onore di entrare nell’ossario»; nel 1967, «Za» vuole pure un catalogo; nel 1959 la espone. «Lei può usare la tecnica che crede; circa il compenso, lo stabilirà lei; mi auguro che lo stabilisca considerandomi un amico, se lo merito». Fausto Melotti ne manda quattro, diversi a seconda dello stato d’animo. C’è qualcuno che, dietro, descrive l’opera: Gerardo Dottori fa sapere che non si è abbellito; Lucio Fontana si raffigura con uno dei suoi tagli; Aligi Sassu con la mitria papale; per Luigi Veronesi, Tancredi (Claudio Parmeggiani) e altri, tra cui Gillo Dorfles, Gastone Novelli e Alberto Burri, il «se stesso» è astratto; per Mimmo Rotella, solo un occhio, come Tano Festa; Capogrossi è ancora figurativo; Schifano si riduce a un segno su perspex; il naso di Fabrizio Plessi è un rubinetto («scherzo per un poeta»); concede solt una fototessera invece Pistoletto.



DOCUMENTI

In mostra, ci sono anche tre dipinti di «Za»: in uno vuole raffigurarsi sullo sfondo dei suoi quadretti, e alcuni dei documenti: «Scusami, ma non ho saputo fare di più» (Emilio Greco); a Maccari, «Za» rammenta la promessa non mantenuta, «Te l’ho ricordato ogni cinque o sei anni invano»; Menzio è ricoverato, «scrive per me mia moglie». Un malessere fisico assale Domenico Cantatore per la misura, fino a diventare «miope e alquanto scosso di nervi per una settimana»; per Renato Birolli, «il formato toglie il respiro»; Michele Cascella non si separa dalla pipa; Campigli ha l’ambizione dei grandi formati, «chissà che non mi salvi appo i posteri per i miei quadri minimi». Minimi, ma spesso grandissimi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA