Sanremo dà uno schiaffo al principe:
fuori Emanuele Filiberto, come Cutugno

Emanuele Filiberto con Pupo e Luca Canonici (Claudio Onorati - Ansa)
Emanuele Filiberto con Pupo e Luca Canonici (Claudio Onorati - Ansa)
di Simona Orlando
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Mercoledì 17 Febbraio 2010, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 23:41

SANREMO (17 febbraio) - Fuori Toto Cutugno con la sentimentale Aeroplani, Nino D’Angelo e Maria Nazionale con la dialettale Jammo j e il trio Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici (accolto in sala a suon di fischi) con Italia amore mio: un brano oltre i limiti del genere trash, oltre il consentito in una manifestazione che si rispetti. L’esibizione offensiva per occhi e orecchi ha visto Pupo al piano che recitava un testo davvero ruffiano, il Principe che ne mimava le parole e fingeva disperazione, il tenore che alzava i toni patriottici, insomma è stata la dimostrazione che al festival purtroppo si arriva anche senza saper cantare, basta essere dotati di faccia tosta e sciorinare una carnevalata in tema col calendario.

A nulla è servito tappezzare la riviera di adesivi pro-trio e far girare la minaccia che avrebbe addirittura vinto. A scongiurare questa possibilità, prima del televoto, è giunto il giudizio della giuria demoscopica. Restano in gara La cometa di Halley di Irene Grandi, scritta con Francesco Bianconi dei Baustelle, da subito considerata una delle migliori, Per tutte le volte che di Valerio Scanu (il giovane principe di Amici che a Sanremo gira smarrito davanti a una platea il cui consenso va conquistato), Malamorenò, la filastrocca fantascientifica en travesti di Arisa (con le Sorelle Marinetti viene da canticchiare Tuli-tuli-tulipan), il vincitore di X Factor Marco Mengoni con Credimi ancora, vestito da Joker bianconero, a pronunciare le dentali all’anglosa ssone e ad ostentare le sue capacità vocali, il tiro rock di Meno male di Simone Cristicchi, la sofisticata Ricomincio da qui di Malika Ayane, La notte delle fate di Enrico Ruggeri, Baby dei Sonhora, La verità di Povia (un recitato presuntuoso su un tema delicatissimo, qui tradotto in una letterina da elementari), Il mondo piange di Irene Fornaciari (che né la mano di papà Zucchero né quella dei Nomadi riescono ad aiutare), Noemi con Per tutta la vita, un’altra delle favorite, sanremese vecchio stile interpretata da una voce piena di sfumature, Fabrizio Moro con il reggae di Non è una canzone.

La prima serata è andata via liscia, apprezzabilmente, salvo le solite noiosaggini che però sono organiche alla manifestazione. Era necessario un affiancamento per non correre il rischio di una brutta partenza, così in apertura di Festival abbiamo ritrovato al buio l’accoppiata Bonolis-Laurenti, come se dallo scorso anno non se ne fossero mai andati, quasi avessero abitato nel teatro dismesso, sempre rapidi a rincorrersi nelle battute, nel paradiso della pubblicità come nel girone sanremese.

Qualche riferimento alle polemiche dei giorni scorsi («Se aveva mo qualcosa da confessare andavamo nelle sedi opportune: da Vespa», «Se vince Emanuele Filiberto ci ridanno la Corsica»), poi un messaggio per le donne complessate dal peso («Godetevi la vostra taglia: il 42 è il burqa dell’occidente») e il passaggio di consegne ad Antonella Clerici, scesa da un’astronave, vestita di rosso con un decolleté troppo compresso, alla sua prova del fuoco.

Tutto sommato se l’è cavata bene, sola sul palco, con il sorriso, la compostezza, il rispetto dei tempi televisivi e delle canzoni. Una conduzione casalinga, poco pretenziosa, come promesso. Ha presentato «un ospite fantasioso e ribelle, in bilico fra in coscienza e innocenza, fra genio e sregolatezza» ma non era Morgan, semmai Antonio Cassano, calciatore un po’ vittimista, prima in versione Sora Camilla, tutti lo vogliono ma nessuno se lo piglia (i doriani cominciano ad accusare il fatto che da quando non gioca, la squadra vince), poi in versione cuore di mamma, poi pentito dei suoi errori (confessa che a Totti dedicherebbe Un amico di Renato Zero, che i loro problemi sono dipesi dalla sua testa matta, mentre a Lippi gliele vorrebbe suonare), insomma si è cimentato in una serie imbarazzante di sgrammaticatezze e in un’intervista perfettamente inutile.

Morgan è stato velocemente citato dalla Clerici: «Sono lontana anni luce dalla droga, la mia unica dipendenza è la mia famiglia, il lavoro, un cappuccino al bar la mattina. Sono addirittura intollerante verso questo vizio, verso chi non ha amore per la vita. Ma per lui la passione è la musica». Ha letto un estratto del testo La sera, qualche nota di accompagnamento, poi, inevitabile, l’italica benedizione: «Morgan spero che tu e tutti quelli come te si possano ritrovare», così ancora una volta non si è capito se lo si chiama in causa per misericordia o per stima professionale.

Ospiti sono state Susan Boyle, la bruttina dalla voce incantevole che “sognava un sogno” e lo ha realizzato (anche se poi è seguito un forte esaurimento nervoso ) e Dita Von Teese, la pin up regina del burlesque, ex moglie di Marylin Manson, che per ottantamila euro è finita seminuda in una coppa di champagne. Vedremo se gli ascolti di domani faranno brindare qualcuno.

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