​Albertazzi: “Felice
di tornare ad Ancona”

​Albertazzi: “Felice di tornare ad Ancona”
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Giovedì 27 Marzo 2014, 21:11 - Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 18:25
ANCONA - E' lui, Albertazzi, a prendere la parola dopo i saluti iniziali, bypassando per un momento la nostra prima domanda: " Sono felice di tornare ad Ancona, un luogo per me importante, dove ho parenti, dove amo sempre tornare a vedere la zona del Passetto, dove ho fatto nel primo dopoguerra significative conoscenze ed esperienze artistiche. Due su tutte: quella con Titta (Giovanbattista) Foti, dirigente anarchico di primo piano (nonché giornalista, ndr), con il quale proprio ad Ancona ho messo in piedi il primo teatro anarchico italiano, e quella con l'attrice e soubrette Silvana Blasi, anconetana di nascita, la quale ebbe pure una parte nello spettacolo con Foti. Non fu facile trovare i soldi per metterlo in scena: lui era un formidabile giocatore di poker e si diede da fare in quel campo; io mi improvvisai venditore di pellicce. Lo spettacolo non andò bene, ma non si può dire che la nostra scelta (anarchica) non fosse innovativa, a quei tempi".

Siamo quindi entrati nel clima del "Mercante di Venezia", di cui Albertazzi è protagonista nel ruolo dell'ebreo Shylock.



Giorgio Albertazzi e William Shakespeare: un rapporto che data nel tempo, dal "Troilo e Cressida" degli esordi (con Visconti nel '49), attraverso l' "Amleto" del '64 all'Old Vic di Londra con Zeffirelli, poi con altri personaggi (Romeo, re Lear) fino allo Shylock attuale, che lei peraltro ha già sperimentato in passato.



Un feeling di lunga data con il Bardo di Stratford.

“Nessuno ne ha fatti tanti, di Shakespeare, quanti ne ho fatti io. E ci aggiungo anche il nostro Dante (indimenticabili le sue letture dantesche e il celebre sceneggiato televisivo di molti anni fa, ndr). Un'inchiesta americana li ha accomunati come i due più grandi geni letterari di tutti i tempi”.



E Omero?

“Sì, certamente... I Greci hanno fatto tutto, il mondo non è andato oltre loro, che sono poi "sbarcati" in Italia, portandoci la civiltà. Omero che si perde nella lontananza del mito, la grande tragedia greca. Shakespeare è un autore universale, capace come nessuno di coniugare il dramma con la leggerezza: anche nelle sue tragedie, anche in questa "commedia" del "Mercante di Venezia", che io prediligo. La leggerezza come quella di Calvino, il contrario della superficialità o della frivolezza: la leggerezza dell'uccello, non quella della piuma”.



In questo Shakespeare c'è il "suo" Shylock.

“Che non richiede eccessi da emarginato o forzature caricaturali. Shylock, più che un usuraio, è un banchiere che presta denaro a interesse. Ma non c'è colpa nel fare profitto senza dolo. Shakespeare richiama addirittura la Bibbia ("Deuteronomio", ndr.). Il mercante Antonio lo chiama usuraio e lo insulta, ma poi va a Canossa e gli chiede un prestito. E allora l'ebreo esige come penale una libbra della sua carne, per "scherzare", con uno sberleffo che denota comunque intelligenza. La sua più grande sconfitta, in definitiva, è la perdita della figlia, che fugge con l'amante cristiano sottraendogli denaro e l'anello a lui caro della moglie defunta”.



Hanno scritto tante belle cose su di lei, che "è il più inquieto dei nostri attori, il più dolorosamente creativo", che la sua voce "sembra avere la facilità dell'acqua". E se dicessimo che lei è un grande attore e basta?

“Non mi considero un grande attore, soprattutto oggi che tutti sul palcoscenico si considerano tali. Mi definisco un "raccontatore" di storie in nome e per conto dell'autore che affronto. My brother in Shakespeare" ( "Mio fratello in Shakespeare") lo chiamò il "collega" Laurence Olivier nel corso di quelle lontane recite londinesi. Shakespeare affratella tutti, a cominciare dai grandi attori”.



Il Mercante di Venezia è in scena al Teatro delle Muse da stasera (27 marzo) a domenica (30 marzo).
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