Cacciari e il giallo
dell'Ulisse dantesco

Cacciari e il giallo dell'Ulisse dantesco
di Massimo Arcangeli
2 Minuti di Lettura
Lunedì 14 Aprile 2014, 22:33 - Ultimo aggiornamento: 22:34
FOLIGNO - L'occasione era delle pi ghiotte: Massimo Cacciari, una delle nostre menti pi lucide, alle prese con il giallo irrisolto del XXVI canto dell’Inferno. Perché, fra commentatori e interpreti del capolavoro dantesco, in tanti hanno provato inutilmente a saldare la prima parte del canto con la seconda. Qui l'Ulisse condannato tra i consiglieri fraudolenti (era stato il principale responsabile, con il compagno di pena Diomede, della caduta di Troia) lascia il posto a quello dell' «orazion picciola», che esorta i suoi vecchi compagni a oltrepassare le colonne d'Ercole (lo stretto di Gibilterra) «per seguir virtute e canoscenza». È un Ulisse due volte colpevole, per la sua lingua biforcuta e per l'umana superbia che gli ha fatto oltrepassare un sacro confine divino? O è un Ulisse colpevole ma allo stesso tempo da ammirare, perché indotto al «folle volo» da un'insopprimibile sete di conoscenza?



La suggestiva interpretazione di Cacciari, che ha tenuto inchiodati alle poltrone dell’Auditorium di Foligno, per oltre un'ora e mezzo, i numerosissimi partecipanti all’evento (e molti altri sono rimasti fuori), intenderebbe risolvere il dilemma. L'appassionato discorso di Ulisse sarebbe a sua volta ingannevole: rifletterebbe la retorica negativa, dell’Aristotele “fisico”, di un'ansia di conoscenza infelice e irrisolta, laddove l'Aristotele “etico” si fa portavoce dell’idea di una conoscenza felice, ottenuta passo dopo passo, approdo dopo approdo.

Ulisse, nell’orazione che gli ha messo in bocca Dante, pronuncerebbe «parole vere», ma dai contenuti palesemente falsi. «È la suprema retorica, è la retorica più alta, la retorica più diabolica, la retorica più perfetta», ha concluso Cacciari.



L'aristotelismo dell’Ulisse che esorta i suoi compagni è allora a sua volta un ingannevole cavallo di Troia, e l'intento di Dante è di ammonire il lettore sulla via da seguire per attingere il vero sapere, in accordo con la volontà dell’«ente sommo» che guida le azioni umane. «Il nostro desiderio di sapere», questo il messaggio dantesco, «può contentarsi in sé, ma a patto che comprenda il suo legame con l'etica, il suo legame con l'anima». A patto che comprenda, insomma, «il suo limite».