Il prof che smaschera il delitto perfetto
L'intervista a Emiliano Giardina

Il prof che smaschera il delitto perfetto L'intervista a Emiliano Giardina
di Maria Cristina Benedetti
4 Minuti di Lettura
Domenica 22 Giugno 2014, 17:23 - Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 12:55
ANCONA - Il titolo suggerisce la svolta: “Fine del delitto perfetto”. Sempre ammesso che sia esistito. Nel catenaccio si scioglie il nodo: “Così sono arrivato alla conclusione che il presunto killer fosse il figlio illegittimo dell’autista”. Ma è nella didascalia che il clamore di un caso nazionale - quello di Yara Gambirasio - diventa il pretesto per raccontare un’eccellenza marchigiana: l’università di Urbino e il suo prof Emiliano Giardina che ha messo il segno sul futuro delle indagini di polizia. Questione di tracce, d’informazioni genetiche. Un’operazione incisa nel Dna. E sì, perché il docente di genetica forense, che si divide tra la cattedra all’Università Roma2 di Tor Vergata e quella dell’ateneo “Carlo Bo” nella sede distaccata di Fano, ha ribaltato l’ordine dei fattori: “Finora è stata l’investigazione a fornire indicazioni alla genetica che poi trova conferme. Stavolta è accaduto esattamente il contrario”.



Giardina è l’uomo che ha dato un nome e un volto a Ignoto 1: Massimo Giuseppe Bossetti, il 43enne indagato come presunto killer della ragazzina di Brembate. Il prof non nasconde che è il caso della sua vita, quello che potrebbe cambiare per sempre il corso dei processi penali. “Questa vicenda dimostra con chiarezza che la prova scientifica deve essere favorita e promossa a tutti i costi”. Una convinzione che resiste persino alle polemiche sui costi eccessivi del metodo: “Certo, per analizzare 18 mila campioni di Dna è stato speso qualche milione di euro, ma vorrei far notare che la pratica delle intercettazioni telefoniche non è più economica. Tutt’altro”. Il genetista afferma per logica e riduce a zero gli errori per metodo. “È la prima volta che si compie un’azione del genere”. La sintetizza - quest’azione - per l’ennesima volta in questi giorni di sovraesposizione mediatica. Parte dal Ris che aveva trovato una traccia sui leggings della ragazza. “Il profilo genetico corrispondente - riordina il percorso - non portava ad alcun nome”.



Campione simile, ma non identico e il caso di Yara s’infilava nell’ennesimo labirinto investigativo. Almeno fino all’entrata in scena di Giardina: “È a questo punto che la polizia scientifica mi coinvolge per capire se si tratta di un campione familiare. Mi viene chiesto di fornire indicazioni investigative”. Niente scena del delitto, ma interminabili giornate trascorse in laboratorio, ore e ore di calcoli biostatistici. L’obiettivo: cercare di definire una parentela, la più probabile, tra Ignoto 1 e quella traccia rimasta lì, sul corpo della giovane vittima, come una firma indelebile ma tuttavia illeggibile.



Il prof va oltre, compone e scompone: “Abbiamo identificato la compatibilità biologica, ricostruito una famiglia senza avere né il padre, né la madre: il primo era deceduto, la seconda non si conosceva”. Il passo successivo è l’analisi del Dna mitocondriale, tassello genetico che solo una mamma può trasmettere. E Ignoto 1 esce dall’ombra: “Sono arrivato alla conclusione che è il figlio illegittimo dell’autista”. La svolta, appunto: la genetica che fornisce indicazioni all’investigazione.



Da consulente tecnico per la genetica forense per i Tribunali di Roma e Urbino, Giardina esclude l’errore - “è impensabile” - ma tuttavia fissa i confini, invalicabili: “Il Dna indica presenze, mai responsabilità”. Smina il campo da possibili confusioni: “Il nostro compito è quello di dare al giudice la capacità di discernere tra il dato certo e quello che è solo possibile”. Il Dna conferma e apre il varco alla pista investigativa, depurandola da inutili indizi; alleggerendola dal consueto caleidoscopio d’ipotesi. Parola di consulente di Salvatore Parolisi, il caporalmaggiore condannato per aver ucciso la giovane moglie - Melania Rea - in un bosco al confine tra Marche e Abruzzo. “Una delle prove contro quell’uomo erano le tracce della sua saliva nella bocca della donna, di sua moglie. Dunque: niente di eccezionale tra due persone così intime”. Ma il prof ha lavorato sul fattore tempo per smontare le tesi accusatorie che puntavano sull’estrema volubilità di quell’elemento. “Niente di scientificamente dimostrabile - incalza l’esperto - e così per Parolisi la prova del bacio non fu quella che determinò la condanna”.



E sono sempre le Marche ad arricchire il curriculum del genetista grandi gialli, da via Poma in poi. “Uno dei miei primi casi - ricorda - mi fu affidato dalla Procura di Urbino”. Era il 2007. Il prof dà le coordinate dell’omicidio: “Floride Cesaretti, la portiera ammazzata nel college universitario della città ducale”. Una storia poco mediatica, scivolata nel mistero: mai chiarita nonostante la traccia genetica conducesse a un’ altra donna.



Giardina insiste: “Il Dna non è una prova, per diventarla deve sempre passare per il dibattimento in aula”. Ribadisce i confini delle competenze e imprime un’accelerazione all’evoluzione “della verifica scientifica nell’investigazione”. Una velocità da alimentatare di saperi. “Si dovrebbe investire sulla formazione dei tecnici che spesso nei laboratori lavorano nell’ombra e che invece determinano il successo delle operazioni”. Torna a Ignoto 1: “L’assistente del caso più importante della mia vita e una preziosissima biologa, precaria”. Si resta su Ignoto 1: dubbi prof? “No, l’errore è impensabile”. Rivoluzione genetica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA