Indagini sulla versione di Farina
La figlia di Sarchiè: "Sono bugie"

Indagini sulla versione di Farina La figlia di Sarchiè: "Sono bugie"
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Sabato 28 Febbraio 2015, 21:26 - Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 10:12

SAN SEVERINO - “Io ci sono stato il giorno dell’omicidio, ma voglio rispondere di ciò che ho fatto e chi ha sparato non sono io".

"La pistola non l’avete trovata perché non l’ho mai avuta, ce l’aveva un’altra persona. Ma volevamo farlo spaventare non ucciderlo”. Dal carcere di Camerino in cui è recluso da mercoledì scorso Giuseppe Farina parla per la prima volta.

Lo ha fatto giovedì davanti ai Pm Stefania Ciccioli e Claudio Rastrelli e ai suoi legali Mauro Riccioni e Marco Massei.

Un’ora e mezza circa in cui Farina ha dato il suo racconto fiume sull’omicidio di Pietro Sarchiè per poi scoppiare in un pianto irrefrenabile e chiudere: “Mi sono tolto un peso. Però il bambino non c’ha da fare niente”. Il bimbo è il figlio Salvatore di venti anni. È in carcere accusato anche lui dell’omicidio del commerciante sambenedettese, ma per il padre sarebbe completamente estraneo al delitto.

La mattina dell’omicidio (18 giugno scorso), ha raccontato Farina, aveva messo un tronco sulla carreggiata per bloccare il furgone di Sarchiè a circa 500 metri dalla propria abitazione a Seppio (e non a Sellano dove ipotizza la Procura). Sul posto era arrivata una macchina da cui era sceso il killer e poi era ripartita. Il killer, a suo dire, circa cinque anni fa aveva avuto screzi sul lavoro con Sarchiè e come Farina voleva intimorirlo. Di lui è stato detto il nome e adesso sono in corso i dovuti accertamenti da parte della Procura.

Il piano era imbavagliare Sarchiè e legarlo ad un albero vicino alla chiesa sconsacrata della Valle dei grilli (dove venne trovato il cadavere il 5 luglio), ma la reazione del commerciante aveva generato la reazione del killer che gli aveva sparato un colpo di pistola, ferendolo a una spalla. Sotto la minaccia dell’arma Sarchiè e il killer erano entrati nella cella frigo dove c’era il pesce, mentre Farina aveva condotto il Ford Transit alla Valle dei grilli. Lì era sceso, aveva aperto il portellone per far scendere i due.

Al killer avrebbe detto: “Leghiamolo lì”, poi era risalito per fare manovra, ma avrebbe sentito esplodere 4/5 colpi. Aveva visto Sarchiè cadere a terra. “Cosa hai fatto?”, avrebbe urlato e il complice avrebbe risposto che ormai li aveva visti in faccia. Sarchiè era stato lasciato lì e i due erano andati nel capannone di Santo Seminara per fare a pezzi il furgone. Farina ha poi detto di non aver bruciato il cadavere, limitandosi a tornare con il complice nei giorni successivi per coprire il cadavere con dei detriti.

Ai Pm ha detto che Domenico Torrisi, indagato per favoreggiamento, era estraneo all’omicidio, così come il figlio che quella mattina era andato a San Severino a prendere il pesce surgelato, li aveva raggiunti alla Valle dei grilli, ma dopo aver visto il sangue nel furgone era scappato spaventato.

Immediate le reazioni. “Non credo a una parola, ci sta prendendo in giro. Allora perché in sette mesi di intercettazioni non sarebbe mai emerso il nome del killer? - ha commentato ieri Jennifer Sarchiè nell’ospedale da dove oggi dovrebbe essere dimessa -. Io ho massima fiducia nel procuratore e nel suo Ufficio”.

“Ho avviato i doverosi accertamenti - ha dichiarato a sua volta il procuratore capo Giovanni Giorgio -, ma Farina se intende veramente collaborare con la Procura, lo dovrà fare nelle forme di legge, più che per mezzo di conferenze stampa di fine settimana dei suoi difensori, prive di qualunque rilevanza processuale. Noi proseguiremo le nostre indagini, facendo tutte le verifiche del caso, ma rispettando il doveroso riserbo investigativo”.

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