Ucciso dalla mamma a 13 anni
"Volevano portarmelo via"

Deborah Calamai con Simone Forconi
Deborah Calamai con Simone Forconi
di Daniel Fermanelli
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Giovedì 25 Dicembre 2014, 10:13 - Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 13:26

SAN SEVERINO – Ucciso dalla mamma dopo la cena della vigilia di Natale. La vittima è un ragazzino di 13 anni, colpito con nove coltellate.

Una delle quali, quella letale, lo ha trafitto al cuore. La tragedia è avvenuta ieri sera, intorno alle 21, al primo piano di una palazzina in via Zampa, a San Severino. Il piccolo ha cercato di fuggire dalla donna che lo aveva messo al mondo. In preda a un raptus omicida, era armata di un coltello da cucina e lo ha rincorso per casa.

Una volta raggiunto ha inferto i fendenti, alcuni alla schiena, altri alle braccia e all’altezza del torace.

Il ragazzino, Simone Forconi, è stramazzato a terra sul pianerottolo, di fronte alla porta di casa, dopo aver tentato invano di difendersi. La mamma, Debora Calamai, 39 anni, originaria di Firenze, è stata subito arrestata.

I due avevano cenato insieme. Sotto l’albero c’erano ancora le costruzioni della Lego ricevute in regalo. Una serata di gioia, che si è trasformata in tragedia. Difficile capire cosa possa aver trasformato un’amorevole madre in assassina. Alla base del dramma, ci sarebbero problemi familiari.

Separata da quattro anni dal marito Enrico, operaio in un’azienda della zona, era seguita dai servizi sociali e aveva una borsa lavoro in una casa di cura per anziani. Il piccolo Simone frequentava la terza media all’Istituto Tacchi Venturi.

Questa settimana, stando al racconto di alcuni vicini aveva trascorso la maggior parte dei giorni con il papà. La donna, infatti, non sarebbe stata bene. Questo avrebbe generato un clima di tensione.

Una testimone racconta di aver visto Debora ieri mattina davanti all’abitazione dei nonni paterni del figlio, in presenza dell’ormai ex marito. “E’ arrivata in macchina – sono le sue parole - e ha iniziato a urlare contro il marito, dicendogli "almeno fammelo vedere" altrimenti chiamo i carabinieri. Lui poi gli ha risposto "i carabinieri li ho chiamati io, sanno già tutto". Poi Debora se n’è andata”.

Nel pomeriggio, invece, Enrico era stato a passeggio in centro con Debora. C’erano anche i genitori di lui, Gianmarco e Tamara, e il piccolo Simone. Si erano messi d’accordo sul fatto che il ragazzino avrebbe cenato con la madre. Sono stati i nonni a portarlo nell’appartamento di via Zampa teatro dell’omicidio.

Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, Simone, dopo cena avrebbe chiamato due volte il padre, chiedendogli di venirlo a prendere perché desiderava proseguire la serata in sua compagnia. L’uomo aveva chiesto l’affidamento in esclusiva e a breve ci sarebbe stata un’udienza dal giudice.

Forse proprio quelle due telefonate sono state la condanna a morte del piccolo. Quella volontà di stare con il padre e non con la madre. Vicini e parenti hanno sottolineato lo stato di fragilità della donna. Problemi che si sarebbero aggravati negli ultimi giorni, culminando con il raptus omicida.

Alcuni residenti della palazzina, sentendo le urla di Simone, hanno chiamato il padre. “Sono arrivato dopo cinque minuti - racconta l’uomo sconvolto - e ho trovato il 118”. Il corpo del figlio era steso sul pianerottolo, in un lago di sangue. Debora, invece, era in stato confusionale. Seduta su una panchina all’aperto, pronunciava frasi insensate e salutava i passanti.

Sono subito arrivati i carabinieri, che l’hanno portata in caserma per procedere poi all’arresto. "L'ho ucciso - avrebbe detto la donna - perché me lo vogliono portare via". Sul posto anche il pubblico ministero di turno, Luigi Ortenzi e il tenente colonnello Patrizio Florio del comando provinciale dell’Arma.

Le indagini sono condotte dai militari del Reparto operativo, guidato dal tenente colonnello Leonardo Bertini, del Nucleo operativo della Compagnia di Tolentino, diretto dal luogotenente Giuseppe Losito e dai colleghi della stazione di San Severino. La donna è difesa dall’avvocato Mario Cavallaro.

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