Caterina Caselli: «Raphael Gualazzi? E' uno speciale»

Raphael Gualazzi con Caterina Caselli
Raphael Gualazzi con Caterina Caselli
di Simona Orlando
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Sabato 6 Luglio 2013, 13:15 - Ultimo aggiornamento: 13:16
Caterina Caselli, cantante ai vertici della popolarit e delle classifiche dal 1966 al 1971, Presidente del Gruppo Sugar e talent scout. Per parlare solo degli ultimi anni ha scoperto Andrea Bocelli, Elisa, i Negramaro, Malika Ayane, Raphael Gualazzi.



Ricorda la prima audizione di Gualazzi?

«Arrivò questo ragazzo alto, timidissimo, col suo modo dondolante, una specie di Forrest Gump che nascondeva grande ironia. Al pianoforte suonò Caravan di Duke Ellington, poi la sua Zuccherino dolce e altro. Rimasi affascinata dalla bravura, dalla persona, dalla conoscenza musicale e dalle dita che scivolavano veloci ma precise. Speciale».



Fu contratto a prima vista?

«Aveva otto brani pronti e mi fece capire che, potendo, li avrebbe realizzati in un altro modo. Io gli credetti, decisi di rischiare, misi a disposizione uno studio attrezzato e l’ingegnere del suono Dave Frazer. Raphael mi guardò e disse: «Non vi deluderò». La sua onestà era tutta in quello sguardo. Dopo venti giorni il disco era pronto».



E “Follia d’amore” vinse Sanremo.

«Mi portò il premio in ufficio: «Questo è della Sugar». Ce l’ho ancora io. Prima o poi mi sembra giusto che se lo riprenda».



Lei usa un metro di giudizio più tecnico o più emotivo?

«Io subisco il fascino dell’artista, cioè di chi con la sua performance crea qualcosa che prima non c’era. Quando decisi di dedicarmi a questo lavoro mi dissi: «Voglio essere il gradino per il salto di altri e fare per loro quello che avrei voluto fosse fatto per me. È la leva che mi muove. Se c’è talento, quello mi cattura. E lui ha un talento prepotente».



Riesce, da imprenditrice, a godere dell’ascolto?

«Ho delle mie zone incontaminate: il fine settimana o quando sono in macchina. Tanti anni fa fumavo ottanta sigarette al giorno, terribile, ero sempre impegnata ad accenderne una, però se strimpellavo o ascoltavo musica me ne dimenticavo. La musica mi rapisce»



Lei investe sul lungo periodo e funziona.

«Abbiamo ereditato l’esempio di mio suocero Ladislao Sugar, ungherese giunto qui nel 1932 che con le sue cinque lingue dialogò a livello internazionale. Puntiamo sull’unicità. In squadra abbiamo artisti tutti diversi accomunati dal fatto di mirare all’eccellenza, poi sta al pubblico decretare se l’hanno raggiunta».



Li lascia liberi o, vista l’esperienza, vuole che la stiano a sentire?

«Spesso sono loro a chiedermi un parere. Ero a Londra, Elisa a San Francisco, e mi fece ascoltare Heaven Out Of Hell al telefono. Succede anche con Giuliano dei Negramaro e Raphael. Per lo più sono d’accordo con loro, altre volte no. Non sempre fanno quello che voglio, in certi casi mi ravvedo io. C’è una percentuale di imponderabilità in questo mestiere: sbagliamo tutti e vince chi sbaglia meno».



C’è un brano di Gualazzi che ama di più?

«In particolare uno che nessuno conosce. Lo ha scritto per Andrea Bocelli, s’intitola Bright, in italianoBenvenuta Vergine. Un brano classico, retaggio degli studi al Conservatorio di Pesaro. Lo custodiamo gelosamente».



Facendo un bilancio, più delusioni o soddisfazioni?

«Il periodo è duro. Sento di camminare in salita con un peso addosso. Però poi mi basta trovare una bella canzone per sollevarmi».
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