Crisi di governo, dall'Iva all'Imu
Tutte le misure che possono saltare

Crisi di governo, dall'Iva all'Imu Tutte le misure che possono saltare
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Domenica 29 Settembre 2013, 11:26 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 11:33
ROMA - Ecco tutte le misure economiche che possono saltare alla luce della crisi di governo.



Interventi antideficit

per 1,6 miliardi


Per il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni era la priorità numero uno: mettere in sicurezza i conti per il 2013, ossia riportare entro la soglia del 3 per cento un rapporto deficit/Pil che lasciato a se stesso avrebbe raggiunto a fine anno almeno il 3,1. Non si tratta di una correzione gigantesca, visto che lo 0,1 per cento del Pil vale circa 1,6 miliardi. Per il nostro Paese però si tratta di una questione vitale: il superamento anche se di poco del limite imposto dai Trattati europei - una volta confermato a consuntivo - ci riporterebbe nella procedura per disavanzo eccessivo. In pratica l’Italia tornerebbe ad essere sottoposta ad una sorveglianza speciale, e perderebbe alcuni margini di flessibilità che invece sono riconosciuti ai Paesi virtuosi: ad esempio la possibilità di non includere nel conteggio nel disavanzo alcune particolari spese per investimenti finalizzati in particolare ad infrastrutture di respiro europeo. La correzione dei conti dovrebbe essere adottata quanto prima per rassicurare la commissione europea. Inoltre il nostro Paese dal 2014 dovrebbe iniziare a ridurre anche il rapporto tra debito e Pil.



Iva, l’aliquota base

aumenta al 22%




Sull’Iva fino a poche ore fa erano aperte due questioni distinte. La prima e più nota riguardava il 2013 e l’esigenza di spostare di altri tre mesi l’incremento dell’aliquota ordinaria che lo stesso governo letta aveva già rinviato da luglio a ottobre: per questo occorreva trovare poco più d un miliardo di euro e decidere entro il 30 settembre. Lo stesso decreto portato nel Consiglio dei ministri di venerdì e non approvato prevedeva che dopo questo passaggio sarebbe stato affrontato un riassetto dell’imposta sul valore aggiunto. Su base annua, il passaggio dal 21 al 22 per cento genera un gettito teorico di 4,2 miliardi: almeno una parte di questa somma poteva essere compensata da una revisione delle attuali aliquote agevolate (4 e 10 per cento). Si trattava di decidere se innalzare queste percentuali ed inoltre di spostare eventualmente all’aliquota ordinaria beni e servizi che oggi godono di un regime più favorevole. In particolare era probabilmente all’attenzione dell’esecutivo l’aliquota del 4 per cento che riguarda i generi alimentari di prima necessità ed i libri, e che per una particolare concessione che risale al passato è più bassa del livello minimo previsto a livello europeo (5 per cento).



Imu, rata di dicembre

di nuovo in bilico


Alla fine di agosto il governo aveva approvato un provvedimento per la cancellazione definitiva della prima rata dell’Imu, il cui versamento era stato in precedenza sospeso. Una misura del costo di 2,4 miliardi che riguardava tutte le abitazioni principali e i fabbricati rurali. Nella stessa occasione il presidente del Consiglio aveva annunciato la decisione di cancellare, con un ulteriore e analogo impegno finanziario, anche la seconda rata dell’imposta sugli immobili. Questa scelta però non era stata formalizzata, tanto è vero che nelle previsioni di finanza pubblica aggiornate al 20 settembre le entrate relative al saldo dell’Imu figuravano ancora in bilancio. Intorno al 15 ottobre più o meno in contemporanea con la legge di stabilità doveva essere adottato un provvedimento per individuare le necessarie coperture finanziarie. In assenza di questo intervento, gli italiani dovranno provvedere al pagamento entro il 16 dicembre. Con qualche probabile complicazione organizzativa, visto che i Comuni ormai davano per scontata la cancellazione totale del tributo, ed anzi qualcuno intendeva alzare al massimo l’aliquota, surrettiziamente, per poi chiedere un maggiore rimborso al governo.



Cig e missioni estere

da rifinanziare


Il Consiglio dei ministri di venerdì scorso avrebbe dovuto approvare due distinti stanziamenti per esigenze di fine anno. Circa 300 milioni servivano, e servono tuttora, a finanziare per gli ultimi tre mesi dell’anno le missioni di pace all’estero delle Forze armate italiane: la copertura dei costi già deliberata scadeva invece il 30 settembre. È un provvedimento che aveva una propria copertura nei prossimi giorni dovrà comunque essere presa dal governo che sarà in carica, anche solo per l’ordinaria amministrazione. Un po’ diversa è la questione degli ammortizzatori sociali in deroga: era previsto un ulteriore finanziamento per 330 milioni l’anno, dopo le somme già messe a disposizione in precedenza, (un miliardo e mezzo tra maggio e agosto) per fare fronte alle crisi aziendali dell’ultima parte dell’anno. In alcune Regioni le risorse si sono già esaurite, ma a questo punto, vista la necessità di mettere in sicurezza il rapporto deficit/Pil per l’anno 2013, non è detto che l’operazione sia portata a termine. Il governo contemporaneamente stava studiando anche una revisione dei criteri per la concessione della cassa integrazione in deroga.



Più difficile tagliare

le tasse sul lavoro


Era probabilmente il più qualificante impegno di politica economica per il governo Letta: il 2014 doveva essere l’anno di una prima significativa riduzione delle tasse sul lavoro, dopo le limitate misure finalizzate all’assunzione di giovani adottate nelle prime settimane di attività. Del taglio del cuneo fiscale-contributivo avrebbero dovuto beneficiare sia le imprese, probabilmente attraverso un alleggerimento dell’Irap, sia i lavoratori dipendenti, tramite un intervento sull’Irap. I benefici poi avrebbero dovuto essere estesi almeno in parte alla platea dei pensionati. Il nodo principale era naturalmente rappresentato dalle effettive risorse finanziarie a disposizione. Il presidente di Confindustria Squinzi aveva chiesto un intervento del valore di almeno 5 miliardi. La difficoltà di reperire risorse portava però a valutare una forma di intervento non necessariamente generalizzato, ma selettivo rivolto a categorie tradizionalmente più deboli sul mercato del lavoro come le donne e i giovani. In assenza di un governo nel pieno delle sue funzioni è improbabile che nella Legge di stabilità possa essere inserito un provvedimento così impegnativo.



Senza service tax torna

l’imposta sulla casa


L’accordo sull’Imu prevedeva anche a partire dal 2014 la sostituzione di questo tributo - relativamente alle abitazioni principali - con un’imposta sui servizi. Secondo lo schema abbozzato ma non formalizzato dal ministero dell’Economia, il nuovo tributo si sarebbe differenziato dal precedente per due aspetti. Sotto il profilo qualitativo, la service tax sarebbe non una tassa sul possesso, ma il corrispettivo dei servizi forniti dall’amministrazione comunale. E dunque dovrebbe essere pagata anche dagli inquilini, oltre che dai proprietari; anche se il governo aveva previsto la possibilità di compensazioni in particolare a beneficio degli affittuari meno agiati. Inoltre la service tax dovrebbe garantire per quanto riguarda le abitazioni principali un gettito un po’ inferiore a quello dell’Imu. Si ragionava di una "dote" di circa 2 miliardi da mettere a disposizione dei Comuni, che avrebbero così potuto decidere in sede locale come graduare il prelievo. In assenza di un provvedimento legislativo anche per il 2014 e gli anni seguenti resta comunque in vigore l’Imu, il cui gettito è anche incluso nelle stime di finanza pubblica.



Riforma del catasto

ancora più lontana


Una conclusione anticipata della legislatura o comunque una crisi delle larghe intese potrebbe avere l’effetto di mettere a rischio un’altra volta l’approvazione del disegno di legge delega sulla riforma del fisco, che era già saltato ad un passo dall’approvazione definitiva dopo la caduta del governo Monti. Il progetto era stato poi ripreso dalla Camera dei deputati sostanzialmente nella versione già definita nei mesi precedenti, con alcune aggiunte. E in particolare in commissione Finanze l’esame del testo era andato avanti in un inedito clima di collaborazione tra le forze politiche. Se la riforma dovesse sfumare di nuovo, verrebbero meno importanti riforme su temi ormai da molti anni al centro dell’attenzione: il catasto, che dovrebbe essere rivisto con il passaggio dal criterio dei vani a quello dei metri quadrati, la quantificazione dell’evasione fiscale, la definizione del concetto di elusione che permetterebbe alle imprese in particolare straniere di pianificare con maggiori certezze i propri comportamenti fiscali e dunque di investire nel nostro Paese.